Passeggiando per Catania ci si può fermare, raccogliere un’arancia dall’albero e mangiarla comodamente seduti in panchina. Succede in pieno centro, in Corso delle Province, e la presenza dei frutti nella pianta, solo teoricamente ornamentale, non sembra stupire nessuno. Del resto i 2,6 milioni di tonnellate di agrumi italiani vengono prodotti nel 45 per cento dei casi da aziende siciliane. E il 15 per cento di queste sono aziende agricole con piccoli appezzamenti. La media complessiva è di 1,9 ettari, ma qui scende a 0,5: gli agrumi sono quasi esclusivamente destinati all’autoconsumo. Dinamiche che mischiano “antiche tradizioni senza la possibilità di aggiungere valore aggiunto in azienda”, come sottolineato da Ismea, l’Istituto di Servizi per il mercato agroalimentare nel suo report sulla competitività della filiera agrumicola italiana. Gli agrumi rappresentano in Sicilia il 13 per cento della superficie coltivata, e il 55 di quella dedicata agli agrumi a livello nazionale: per Ismea l’approccio non imprenditoriale è un problema.

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Aziende produttrici: meno 49 per cento in venti anni
Secondo il rapporto Ismea, dal 2000 le aziende produttrici sono scese da 150 a 80 mila. Un calo del 49 per cento, con un tasso di variazione medio annuo superiore al 7 per cento. Un disimpegno imprenditoriale nel settore, che ha inciso sulle quote di mercato: negli stessi anni l’import, soprattutto dalla Spagna, è aumentato fino a raggiungere i 350 milioni di euro (e 430 mila tonnellate) del 2019, mentre il valore della produzione a prezzi base in fase agricola italiana si fermava a 924 milioni per un totale di 2,6 milioni di tonnellate. All’aumento delle importazioni, del 5 per cento annuo, è corrisposto contemporaneamente un aumento dell’export, ma solo del 2,7 per cento annuo. Un saldo negativo che avvantaggia, ancora una volta, le produzioni iberiche, il cui volume di export è 15 volte superiore a quello italiano. E, naturalmente, un problema soprattutto siciliano. Per Ismea il settore è “strutturato diffusamente con modalità che lo relegano alla produzione di base senza alcuna possibilità o opportunità di incorporare nella fase agricola elementi di valore aggiunto della filiera che, peraltro, spesso si presenta lunga e farraginosa nei meccanismi di funzionamento”.
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Organizzazioni dei produttori: in Sicilia fatturato “molto basso”
Nel mercato agroalimentare, gli agrumi rappresentano solo lo 0,7 per cento del totale italiano, e l’1,8 di quello agricolo. Ismea sottolinea più volte nel rapporto il numero elevato di aziende piccole, con impianti obsoleti, rese mediamente basse, e soprattutto “una scarsa tendenza all’aggregazione dell’offerta”. Per abbattere i costi di attività che nell’ampio panorama di piccolissimi produttori porta non a dei profitti ma a un minimo introito che contribuisca alle spese, l’organizzazione della raccolta è spesso delegata a terzi. Ismea calcola come nel 28 per cento dei casi i produttori si affidino ancora ai sensali e agli intermediari, nel 24 per cento alla vendita a cooperative e solo nel 6 per cento alle OP, le organizzazioni di produttori. Con una vera e propria “discrasia”: mentre il 59 per cento del valore della produzione ortofrutticola si deve alle OP delle regioni meridionali e il 54 per cento delle OP (176 su 302) risiede negli stessi territori, queste rappresentano al Sud solo il 32 per cento del peso del valore della produzione commercializzata. Segno, secondo Ismea, che l’aggregazione, dove funziona, porta dei benefici immediati. In Sicilia le OP sono 54, 30 delle quali dedite alla vendita di agrumi, con un valore della produzione commercializzata di poco superiore alla media del Sud (33 per cento). Il valore medio del fatturato è pero definito come “molto basso”, inferiore ai dieci milioni di euro, e delle undici associazioni di organizzazioni di produttori italiane, nessuna è presente al Sud. Con il paradosso che “molte aziende agricole delle regioni meridionali sono associate a OP del Centro-Nord”.
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Punti di forza: produzioni Igp e sempre più giovani
In un quadro fortemente critico, non mancano però i fattori positivi, almeno in Sicilia. Il primo è l’aumento della presenza di produzioni di alta qualità, come l’Arancia rossa di Sicilia. Il frutto a polpa rossa etneo ha infatti una quota di produzione del 42 per cento all’interno dei prodotti a indicazione geografica tipica (Igp), con oltre 17 mila tonnellate. Il totale delle produzioni Igp, pur rappresentando ancora solo l’1 per cento del totale, secondo Ismea “potrebbe presentare anche grossi margini di crescita considerata la bassa pressione competitiva che in molti casi caratterizza il prodotto e la forte connotazione territoriale dello stesso”. Una caratterizzazione che è legata anche all’aggiornamento delle tecniche. Secondo lo studio, ben il 25 per cento delle produzioni siciliane è biologica, mentre l’età media dei titolari delle imprese agrumicole è molto più bassa della media del settore agricolo, che solo nell’8 per cento dei casi vede soggetti sotto ai 40 anni. Per gli agrumi la percentuale di “ricambio generazionale” sale al 12 per cento, con una media di estensione dei terreni per i giovani under 40 più che doppia (3,8 ettari), che rappresentano il 19 per cento del totale della superficie agricola utilizzata.