Ha conquistato gli italiani (le donne, soprattutto), gli chef, i mixologist nazionali e internazionali. E ora si prepara a sbarcare anche in Asia, coronavirus permettendo. Amara, l’amaro di arancia rossa Igp, sta vivendo un’ascesa inarrestabile. Complice una campagna di marketing giovane e una ricetta del passato riportata nel presente, Edoardo Strano e Margherita Angelilli procedono spediti per la loro strada, nonostante burocrazia o peso economico dei trasporti.
Un terzo della produzione all’estero
Amara è il cuore di Rosso Sicily, azienda agricola della galassia San Martino, gruppo familiare dedito da generazioni alla produzione di agrumi siciliani. Rosso Sicily sviluppa la sua attività su cento ettari di terreno dedicati alla coltivazione di arance rosse Igp. La diversificazione varietale consente di avere a disposizione materia prima da lavorare da dicembre a maggio. Rosso Sicily produce circa 100 mila bottiglie di Amara, con un fatturato di circa un milione di euro. Il team di lavoro è composto da cinque dipendenti. All’estero Amara piace molto: la quota export di Rosso Sicily segna 30 per cento, mentre l’Italia assorbe il rimanente 70 per cento. Se la distribuzione regionale è affidata a una rete interna di venditori, quella nazionale è curata da Velier.
Come nasce l’amaro
La famiglia di Edoardo Strano fa da sempre la marmellata di arancia rossa e l’infuso alcolico dalle bucce d’arancia. Terminati gli studi, si è buttato a capofitto nell’azienda per cercare di svecchiarne l’immagine. “Da sempre appassionato di spirits, iniziò con una prima prova casalinga, mettendo in infusione le scorze di arance per quaranta giorni. Il profumo che ne scaturì era eccezionale”, ricorda Margherita Angelilli, moglie e responsabile comunicazione e marketing dell’azienda. “Abbiamo creato un’immagine di prodotto che dà sì l’idea di un amaro siciliano, ma senza gli stereotipi regionali, come carretti o altre immagini tipiche”.
La ricetta di Amara
Amara si ottiene dalle scorze dell’Arancia Rossa di Sicilia Igp, le erbe spontanee dell’Etna e l’acqua delle fonti vulcaniche. Tutti gli ingredienti vengono lavorati separatamente e poi lasciati a macerare per circa 40 giorni. Trascorso il tempo necessario, si filtra il tutto e si miscela con acqua e zucchero. Ciò che colpisce è dapprima il colore, chiarissimo, quasi dorato, e non rosso. Poi c’è l’odore, molto fresco rispetto agli amari tradizionali. Dopo i primi debutti nelle fiere di settore, i feedback ricevuti l’hanno classificato anche come “l’amaro per le donne”. Ma la forza di Amara è anche l’essere la sintesi di una storia di famiglia.
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Export: la leva della mixology
Il feedback su Amara durante le manifestazioni di settore, sia in Italia che all’estero, ha premiato l’idea di Rosso Sicily. “Si è avuta una buona risposta non solo nell’utilizzo in purezza, ma anche nella mixology”, spiega la portavoce dell’azienda. “Abbiamo ritrovato Amara nelle drink list internazionali, da New York al Canada, dove probabilmente si preferisce più il drink che l’amaro di fine pasto”. Intanto l’azienda si prepara a sbarcare in Asia, coronavirus permettendo. “Proprio in questi giorni abbiamo chiuso un accordo, che ci permetterà di avere un rappresentate dedicato sul territorio”.
Chef al lavoro su Amara
Agli italiani Amara piace. A declinare Amara in un cocktail nazionale ci ha pensato Alfio Liotta, che ha utilizzato il liquore per creare l’Etna Spritz, incluso tra i dieci cocktail più innovativi. In Sicilia Amara impreziosisce i piatti degli chef Ciccio Sultano e Pino Cuttaia. “A Roma, da Pipero, hanno usato Amara per creare una crepe suzette, mentre a Napoli, a Palazzo Petrucci, il liquore è stato usato per una riduzione in un secondo”. L’obiettivo è quello di raccogliere tutte queste idee culinarie in un volume che presenti al mondo la vita enogastronomica di Amara. Ma non è tutto. “Vogliamo fare un altro spirit da accoppiare ad Amara, con un altro agrume”. Ma questa idea è ancora in fase di maturazione.