Per Ance Sicilia, lo Stato italiano si sta comportando come Google: non paga quello che dovrebbe. Una provocazione, certo. Con la quale l’Associazione nazionale dei costruttori edili rilancia un vecchio problema: la mancata applicazione delle leggi costituzionali che dovrebbero far rientrare nella regione le imposte prelevate ai siciliani: “Tra Iva e Irpef si stima che il mancato introito superi i 10 miliardi di euro l’anno”.
La provocazione di Ance Sicilia
“Perché il governo pretende che Google e gli altri giganti del web paghino allo Stato italiano le tasse sui profitti generati sul territorio nazionale – si legge in una nota di Ance Sicilia – se continua a rifiutarsi di applicare lo Statuto speciale, che gli impone di restituire alla Sicilia le tasse” siciliane. Il confronto è improprio. Lo Stato non è un’impresa privata e Roma non è un paradiso fiscale. Ma la dichiarazione dell’Ance non si muove certo in punta di diritto fiscale. L’obiettivo è “sollecitare il governo nazionale a concludere immediatamente la revisione dei rapporti finanziari tra Stato e Regione, riconoscendo alla Sicilia ciò che le spetta, almeno in una misura tale da evitarne nell’immediato il default”. L’associazione chiede di “porre fine a quei comportamenti anticostituzionali che da vari anni sono anche alla base del disavanzo strutturale della Regione, elemento che ostacola la chiusura dei bilanci, blocca la spesa pubblica e impedisce la ripresa della nostra Isola”.
Il problema è costituzionale
Il problema ricordato dall’Ance non si esaurisce nelle pieghe di bilancio. E non è neppure ascrivibile a questo o quel governo. Riguarda – come ricorda l’associazione – la mancata applicazioni di leggi costituzionali. Lo Statuto della Regione Siciliana prevede infatti che sia l’isola a provvedere al proprio fabbisogno finanziario, tramite “i redditi patrimoniali e a mezzo di tributi”, mentre sono “riservate allo Stato le imposte di produzione”. In pratica dovrebbe essere la Sicilia a incassare tasse come Iva e Irpef, dopo un viaggio andata e ritorno dalle casse nazionali. A questo si aggiunge l’articolo 38, che prevede un versamento annuale, “a titolo di solidarietà nazionale”, di “una somma da impiegarsi, in base ad un piano economico, nella esecuzione di lavori pubblici”. Ecco spiegato perché i crediti interessano – oltre che tutta la regione – molto da vicino proprio l’Ance.
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Quei miliardi dovuti e mai incassati
La Commissione di studio sulle cause del disavanzo regionale 2017, voluta quest’anno dalla giunta Musumeci, ha fatto emergere “la cancellazione nel 2015 di residui attivi inesigibili per 5 miliardi 321 milioni” e di altri 648 milioni nel 2017. Cioè 6 miliardi di crediti cui la Regione ha rinunciato. È stato – afferma l’Ance – “un colpo di spugna”, frutto di “una incomprensibile serie di errori istituzionali” che ha bruciato accordi di cui si sa poco o nulla. Fra questi, “accanto ad una moltitudine di piccoli crediti verso singoli cittadini – sottolinea l’associazione dei costruttori – è da immaginare che probabilmente vi fossero anche istituzioni pubbliche, compreso lo Stato”. Cui si aggiunge “una altrettanto inspiegabile transazione col governo nazionale”, con la quale la Regione ha rinunciato “ad altri miliardi di euro di crediti vantati nei confronti dello Stato e oggetto di contenzioso, malgrado poco dopo la Corte costituzionale abbia riconosciuto il diritto ad esigerli”. Ance Sicilia accusa quindi lo Stato di “scavalcare qualunque legge pur di chiudere i propri bilanci”. E si chiede come si possa parlare di “nuova autonomia differenziata” se quella vecchia non viene rispettata.
Disavanzo come un mutuo trentennale
Sia chiaro: il disavanzo non è certo tutta colpa dello Stato. Ma i mancati trasferimenti sono una delle zavorre che impedisce alla Sicilia di uscire dal guado. Il rosso è attualmente di 7,3 miliardi. Ma, come ha stabilito la Commissione di studio, tra eredità degli esercizi precedenti, obblighi finanziari e residui di prestiti vari, gli oneri supererebbero i 13 miliardi, spalmati da qui al 2048. Praticamente un mutuo trentennale che pagheranno le generazioni attuali e future.