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Apicoltura in crisi: non c’entra il Covid. I produttori chiedono aiuto

Nell'ultimo anno la produzione di miele in Sicilia è scesa del 70 per cento. Ma questo "non c'entra con il Covid, è conseguenza dal cambiamento climatico", spiega il presidente di Aras Giovanni Caronia

Un ruolo essenziale per l’ambiente e l’agricoltura quello svolto dalle api. Ma che i cambiamenti climatici stanno rendendo sempre più difficile. La Sicilia, terza regione d’Italia dopo Piemonte e Lombardia, ha oltre 140 mila alveari, ma la produzione di miele delle oltre 2000 aziende produttrici è scesa nell’anno della pandemia del 70 per cento. Un calo “che però non ha nulla a che vedere con il Covid, noi siamo un settore primario e abbiamo continuato a operare. Sono però almeno sei anni che il cambiamento climatico e l’uso intensivo di biocidi condizionano le produzioni”, spiega Giovanni Caronia, presidente dell’Associazione regionale apicoltori siciliani (Aras), parte dell’Unione nazionale associazioni apicoltori italiani (Unaapi). Un incontro per parlare della crisi del settore era previsto per giorno 7 luglio alla Commissione attività produttive dell’Assemblea regionale siciliana. Ma l’incontro “è stato spostato poche ore prima a data da destinarsi, così come un incontro previsto con l’assessore all’Agricoltura Toni Scilla. Tutto questo senza che ci venisse data una motivazione”, racconta Caronia.

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Una crisi “strutturale, non congiunturale”

E mentre la produzione cala, questo avviene con un apparente paradosso: “Il numero di alveari e produttori hobbysti è cresciuto moltissimo, siamo passati in un anno da 125 mila a 140 mila alveari”. Secondo i dati Ismea, nel giugno 2019 i produttori siciliani erano appena mille e cinquecento contro i duemila attuali. E tra questi solo poco più di 800 hanno l’attività come primaria fonte di reddito, detenendo “circa l’80 per cento del patrimonio apistico”. Un problema annoso quello del riconoscimento del ruolo di produttore professionale, secondo Caronia e la sua associazione, e che costituisce “da almeno tre anni una tematica mai affrontata e per la quale chiediamo da tre anni un tavolo tecnico”. Tutti elementi che dimostrano come “la crisi sia strutturale, e non congiunturale”, e per la quale i produttori siciliani hanno chiesto unitariamente degli aiuti economici, inserendo il settore sia “sia nel Piano strategico nazionale, prevedendo interventi specifici anche nel Piano di Sviluppo rurale sia per l’Agricoltura biologica che per la preservazione delle biodiversità”. Le richieste sono state formalizzate in un documento a firma di Giuseppe Di Silvestro (Cia Sicilia Orientale), Fabio Marino (Apac), Giovanni Caronia, (Aras), Gerlando Argento (Allevatori Apis Mellifera Siciliana), Sebastiano Alfio Privitera, (Fai Sicilia), Felice Coppolino (Unicoop), e inviato all’assessore regionale all’agricoltura Toni Scilla.

I rappresentanti degli apicoltori riuniti a Zafferana Etnea per firmare un documento congiunto il 17 giugno

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Le colture alimentari dipendono dalle api

Il contributo dovrebbe arrivare con somme ripartite “per alveare e impegni quinquennali”, chiedono le associazioni nel documento. Ma a distanza di due settimane, però, nulla sembra essersi mosso per una richiesta di intervento motivata non solo dalla crisi, ma anche dalla valenza ambientale, soprattutto in vista della scadenza del 2030 per il cosiddetto “Green Deal europeo”. Una singola ape visita in media circa 7 mila fiori al giorno e ci vogliono 4 milioni di visite floreali per produrre un chilogrammo di miele. Dalle api, inoltre, “dipende l’84 per cento della impollinazione delle piante con fiore e di tre quarti delle colture fondamentali per la nostra alimentazione”. Dal giorno di invio del documento unitario firmato a Zafferana Etnea “città del miele” lo scorso 17 giugno, “l’unica novità è stata a livello nazionale con un interessamento della Commissione politiche agricole della Conferenza delle regioni, che lo scorso 5 luglio ha fatto al governo nazionale due proposte: o dei ristori, o un congruo incremento dei fondi Ocm”. La prima ipotesi sembra quella più attuabile, “in quanto i fondi Ocm sono decisi per quote fisse che considarano fabbisogno e distribuzione in tutta Europa. Mentre la concessione di un contributo potrebbe essere fatta con la progettazione, sempre all’interno della programmazione europea.

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L’esempio virtuoso della Calabria

Il contributo richiesto dagli apicoltori potrebbe essere ottenuto facilmente “ricopiando quanto fatto con i fondi Psr in Francia, in Spagna e da anni anche in Calabria, dove si riconosce il contributo ambientale dell’agricoltore. Questo a condizione di mettere gli alveari non in agricoltura intensiva. Ed evitando quello che si fa ad esempio in Cina, che ha delle vere e proprie industrie. E i cui prodotti oltre a essere venduti a prezzi bassi lasciano molti dubbi sulla genuinità”, spiega. In Sicilia dunque, dove si produce in modo naturale miele di zagara, millefiori, primaverile e sulla, si potrebbe attivare da subito un contributo. Nella Regione Calabria “è stato fissato a 22 euro ad arnia, distribuiti circa 1 milione e 600 mila euro su 250 aziende, una buona fetta del settore. Ma nella nuova programmazione è stato richiesto un contributo di almeno 40 euro ad arnia”. Il tema era stato affrontato già con l’ex regionale all’Agricoltura Edy Bandiera, “ma solo in modo informale. Speriamo di poter ufficializzare la proposta con l’attuale assessore”. La battaglia per il riconoscimento del ruolo ambientale è però attiva in tutta Italia, “e come Unaapi ci stiamo muovendo in tutta Italia in questa direzione. Se non dovessero però arrivare risposte, dovremmo rispondere alla base dei nostri associati. Che spingono sempre più forte per fare delle manifestazioni”, conclude il presidente di Aras.

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Leandro Perrotta
Leandro Perrotta
Catanese, mai lasciata la vista dell'Etna dal 1984. Dal 2006 scrivo della cronaca cittadina. Sono presidente del Comitato Librino attivo, nella città satellite dove sono cresciuto.

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