Sono le zone più remote della Sicilia, quelle meno densamente abitate e, dal 2015, inserite nella Strategia nazionale per le aree interne (Snai). Gli aiuti per il Calatino, le Madonie, i Nebrodi, i Sicani e la Valle del Simeto-Etna, però, non sono mai arrivati. La cifra, superiore ai cinquanta milioni di euro, è suddivisa all’interno dello Snai tra contributi Po-Fesr (32 milioni), della Legge di Stabilità (4 milioni), mentre il resto dipende dalle dotazioni dei Programmi operativi nazionali (Pon), dai programmi europei a gestione diretta e dai programmi di Cooperazione. Le risorse sono destinate alle Unioni comunali dei territori e “di fatto non è stato speso neanche un euro delle somme stanziate”, secondo Alfio Mannino, segretario generale Cgil in Sicilia. Il sindacato vorrebbe costruire “una vertenzialità territoriale sulle tre grandi direttrici delle Snai, sanità, mobilità, istruzione”.

Spopolamento: 150 mila abitanti in meno dal 1951
Il primo problema da risolvere è però quello demografico. Come sottolineato dal Servizio statistica ed Analisi economica della Regione siciliana, le cinque aree interne hanno perso quasi 150 mila abitanti dal 1951 al 2019, mentre la regione guadagnava oltre mezzo milione di residenti. Le cinque aree sono scese complessivamente da 458 a 311 mila abitanti, passando dal 10 per cento a poco più del 6 per cento della popolazione siciliana riferita al periodo. E quattordici mila residenti sono andati via dal 2011. Le ragioni, secondo lo studio, sono da ricercarsi nella diminuita natalità, alla quale si associa un aumento negli ultimi anni dell’età media e conseguentemente della mortalità. Ma soprattutto all’emigrazione, che lo studio, attingendo ai dati Istat fino al 2018, evidenzia con un valore in negativo: “Ancora oggi – si legge nella monografia – il saldo migratorio delle Aree interne presenta andamenti negativi e più intensi rispetto alla regione nel suo complesso”. Il dato, con un indice di -1,5, è secondo solo a quello degli anni ’60 (-17), ma la bassa natalità (oggi al 7 per mille) e l’aumentata mortalità (superiore al 12 per mille) nelle zone porta a un invecchiamento della popolazione rapido e ben superiore alla media siciliana. Tanto che l’indice di vecchiaia, rapporto tra la popolazione ultra 65enne e quella entro i 14 anni, è passato dal 32 medio riferito agli anni cinquanta (34 per le femmine e 29 per i maschi), a 183 (213 per le femmine e 155 per i maschi). I corrispettivi per l’intera Sicilia sono 29 e 149.
Accordo firmato, ma nessun intervento in 17 mesi
“In Sicilia- ha spiegato Ferruccio Donato della Cgil regionale- tra la firma della Strategia e quella dell’Accordo di programma quadro (Apq) sono passati in media 17 mesi. Abbiamo fatto peggio solo del Friuli Venezia Giulia ma anche dopo, come nel caso delle Madonie, la macchina si blocca con i progetti fermi alla Regione”. E, da giugno, è stato azzerato il comitato tecnico presso l’Agenzia per la coesione. “La mancanza di strutture di questo genere- osserva Filippo Tantillo, esperto del settore – determina che le istanze dei Comuni di fatto rimbalzino. Si aggiunge la necessità che la regione dia assistenza tecnica ai territori”. E, per la popolazione sempre più anziana, la fruizione del diritto alla salute diventa sempre più urgente. A seguire il problema Istruzione in aree dove il 54 per cento delle scuole primarie ha meno di 15 alunni. E per entrambe le problematiche Ferruccio Donato vede una opportunità nelle connessioni Internet a banda ultra larga, sia per “l’ampliamento dell’offerta formativa” che per l’uso “della telemedicina. Ci sono inoltre i problemi della mobilità, per i quali – ha aggiunto- si deve sperimentare il taxi condiviso”.
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Popolazione straniera in aumento
In attesa dei fondi del sistema Snai, le aree interne in questi anni hanno beneficiato dell’aumento della popolazione residente straniera. L’aumento, a partire dal 2001, è stato del 11 per cento, a fronte di una media siciliana di otto. I cittadini non italiani iscritti in anagrafe sono passati dai mille e cinquecento circa di inizio millennio ai 9 mila e 800 di inizio 2019, con un picco nel 2007 dovuto all’inserimento di molti cittadini rumeni, già presenti da anni nel territorio, e appena entrati a far parte dell’Unione europea. Una “emersione di irregolari”, come sottolinea lo studio, che ha portato 245 romeni residenti del 2006 a diventare, alla fine dell’anno successivo, oltre mille e 500, con un incremento di 570 maschi e di 715 femmine. Una popolazione, quella straniera, che continua a tenere tassi di natalità, seppure diminuiti, ancora superiori a quelli degli italiani. Una emersione che per il Servizio statistico della Regione “evidenzia il bisogno di una forza lavoro attiva, principalmente in alcuni comparti dell’agricoltura, ma anche nella cura delle persone (badanti), che conferma in primo luogo la vulnerabile struttura anziana della popolazione della aree interne”.
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Non solo aree interne: anche il nisseno si svuota
Nei monti Sicani, sottolinea Cgil, c’è stata dal 2001 al 2011 una riduzione della popolazione del 9 per cento a cui se ne aggiunge una del 3,5 per cento al dicembre 2016. Dal 2016 al 2018 si sono persi altri mille e 276 abitanti. Ma nello stesso periodo la provincia di Caltanissetta “ha perso più di diecimila abitanti” spiega il segretario della Cgil nisseno Ignazio Giudice. Con una protesta a Fontanarossa ha lanciato negli scorsi giorni una petizione rivolta al governo nazionale per “salvare il territorio da un costante declino infrastrutturale che ha reso l’intera provincia estranea a ogni collegamento autostradale”. Un appello “lanciato con la petizione online e manifestazioni già realizzate e altre in programma ci rendono responsabilmente convinti che la ‘questione meridionale’ deve occupare l’agenda del Governo per fare in fretta anche sui pareri riferiti a progetti industriali già concordati come Argo Cassiopea”, conclude il segretario Cgil di Caltanissetta.