Artigiani dimenticati: non c’è nessun accenno alla categoria nell’accordo sottoscritto tra sindacati, associazioni datoriali e Regione siciliana per l’accesso alla cassa integrazione guadagni in deroga per l’emergenza Covid-19. Per usufruire dell’ammortizzatore sociale, previsto dal decreto Cura Italia, gli artigiani dovranno passare dall’Ente bilaterale dell’artigianato siciliano (Ebas). Si tratta di un’associazione, con fini di promozione del settore e mutualistici, formata nel 1993 dai rappresentanti delle imprese artigiane Cna, Casartigini, Confartigianto e Claai, oltre che dai sindacati Cgil, Cisl e Uil, tutti enti presenti alla sottoscrizione dell’accordo. Un non iscritto all’Ebas che vuole accedere agli aiuti dovrà versare arretrati per 36 mesi. I tre anni di “regolarità contributiva” per accedere alle prestazioni sono citati nel documento che illustra le procedure di gestione delle istanze riportato sul sito dell’Ente, e che prevede appunto l’iscrizione al Fsba, il Fondo di solidarietà bilaterale per l’artigianato. “In media si tratta di circa 350 euro l’anno. Ovvero ogni impresa deve versare una messa a posto da mille euro per ognuno dei ventimila artigiani in Sicilia”, denuncia Giovanni Felice, coordinatore regionale di Confimprese Sicilia.
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Un’iscrizione “non prevista e illegittima”
La quota di iscrizione comprensiva di arretrati “non è prevista dalla legge, per nessuna categoria di lavoratori”, ricorda Felice. Secondo il coordinatore di Confimprese “l’accordo è stato sottoscritto dagli stessi proprietari dell’ente bilaterale degli artigiani: hanno inserito, sebbene non prevista dal decreto, e illegittimamente, una clausola che prevede l’obbligatorietà dell’iscrizione all’ente di loro proprietà per potere accedere alla cassa integrazione prevista per le aziende chiuse per decreto”. La quota è da versare in unica soluzione, ed è composta da una rata fissa di 7 euro e 65 centesimi al mese, alla quale si aggiunge lo 0,6 per cento dell’imponibile previdenziale del lavoratore. “In un momento tragico, dispiace che le associazioni che dovrebbero tutelare le aziende dell’artigianato ed i sindacati dei lavoratori approfittino delle loro necessità per spillare soldi”, afferma Felice. Secondo il calcolo effettuato sul numero di artigiani, l’operazione potrebbe portare alle casse dell’ente circa “20 milioni di euro, sottratti alle tasche di aziende e lavoratori grazie all’avallo del governo regionale che, nonostante le segnalazioni, non interviene”.
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Puglia, il precedente
Felice cita altre regioni dove il provvedimento non è stato inserito. “Penso al Lazio e alla Campania, regioni dove l’iscrizione non è mai stata contemplata. Ma c’è soprattutto il precedente pugliese: qui, dopo la nostra protesta, un comunicato ufficiale ha deciso di eliminare unilateralmente l’obbligo di iscrizione”. Un provvedimento che il coordinatore regionale chiede da parte “del governo e del parlamento siciliano, oltre che dell’Inps regionale, che davanti a questa truffa legalizzata tacciono. L’auspicio, che purtroppo non vedo all’orizzonte, è che la classe dirigente di questa martoriata regione abbia uno scatto di orgoglio e sappia uscire da quegli schemi che condannano i siciliani a vedere tutelati gli interessi di pochi, spesso pure illegittimi, a danno di un popolo che comincia ad essere affamato”, conclude Giovanni Felice.