La legge di Bilancio 2019 prima, la crisi di governo dopo. In mezzo l’aumento dell’Iva previsto dal Def per il 2020. È una delle missioni del nuovo esecutivo Conte: impedire che scattino le clausole di salvaguardia. Servono 23 miliardi di euro. Se non si trovassero, dal prossimo gennaio l’aliquota ordinaria passerebbe dal 22 al 25,2 per cento, mentre quella agevolata salirebbe dal 10 al 13 per cento. Rialzi che, secondo le stime di Confcommercio, comporterebbero maggiori costi pari ad una media di 900 euro a famiglia e un incremento delle tasse di circa 400 euro a testa.
Chi pagherà di più
“Dal punto di vista strettamente giuridico cambia molto poco: la disciplina Iva rimane identica, cambia soltanto l’aliquota nelle due versioni, che si aggiunge al prezzo del bene, per cui per l’operatore economico matematicamente non cambia nulla”, spiega Antonio Guidara, avvocato e docente di diritto tributario presso le facoltà di Giurisprudenza ed Economia dell’Università degli Studi di Catania. È tutto il resto che cambia e non poco: l’impatto che questa misura potrebbe avere sulle fragile economia regionale e sulle famiglie non sarà certo leggero. “Le conseguenze sono le stesse in punto di fatto e di diritto ma sono acuite in realtà economiche difficili come quella siciliana, dove le famiglie faticano ad arrivare a fine mese” continua Guidara. Inoltre “nel momento in cui un professionista, ad esempio un medico oculista, riesce a guadagnare un margine di profitto minimo, ora ne avrà ancora meno. Quindi le difficoltà trasferite in una realtà economica depressa sono maggiori, rischiano di creare una recessione economica”, ipotizza l’esperto.
Evasione ad hoc
La Cgia di Mestre ha paventato anche il pericolo di aumento dell’evasione fiscale come conseguenza dell’innalzamento dell’Iva. Una prospettiva non proprio felice per un territorio che ha già un’economia sommersa molto radicata. “Si tratta di un rischio molto concreto”, dice senza mezzi termini Guidara. “Se quel ciclo diventa nero avremo un’evasione fiscale maggiore perché a quel punto la famiglia recupererà integralmente quel 25 per cento non pagando la fattura, ma pagando solo il prezzo della prestazione. L’unico modo per far rispettare la tassa è un controllo oculata ed effettivo, ma ci vogliono risorse economiche e umane che la nostra amministrazione finanziaria non ha o ha difficoltà a trovare visto che resta concentrata sulle grandi evasioni lasciando perdere quelle minori”.
Robin Hood tax e vie alternative
L’innalzamento dell’imposta è stato definito poi una sorta di Robin Hood tax alla rovescia, togliere ai poveri per dare ai ricchi. “Quest’aumento è il frutto dell’incapacità di chi governa, che sta creando enormi danni facendo le manovre a debito e facendo pagare i costi di tutta la loro propaganda elettorale ai cittadini, quindi non credo che ci sia troppa consapevolezza di aiutare i ricchi e di penalizzare i poveri”, taglia corto il docente. “Non c’è consapevolezza di fare una Robin Hood tax alla rovescia. Al contrario: questo è un concetto più applicabile alla flax tax, perché con quella misura c’è un disegno preciso di avvantaggiare determinate classi sociali. Se poi sommiamo i due effetti, il risultato sarà disastroso”. Come evitare allora questo disastro? C’è modo di disinnescare il provvedimento? Secondo Guidara “dovremmo avere la palla di vetro. Credo che invece che investire su flat tax, reddito di cittadinanza o comunque su misure a debito, bisognerebbe avvantaggiare i lavoratori, aumentarne la disponibilità economica, alzarne la somma di reddito che resta ai lavoratori, quindi ridurre l’aliquota sul lavoro dipendente o ridurre il cuneo fiscale per le imprese che assumono lavoratori dipendenti. Questo è l’unico modo per garantire la ripresa, perché assicurando più denaro al lavoratore si garantirà una domanda maggiore e si potrà innescare nel tempo un ciclo virtuoso. Il lavoratore dipendente non evade, quindi se diamo qualcosa in più a lui facciamo anche un’opera di giustizia sociale”.