Differenziare i poteri delle Regioni in un ambito come per esempio quello della sanità, sarà la strada giusta per rimettere in equilibrio il divario che c’è tra il Nord e il Sud del Paese? Secondo la fondazione Gimbe, che di servizio sanitario pubblico si occupa in maniera molto approfondita, la risposta è netta e secca: no di certo, anzi il governo dovrebbe proprio rivedere le proprie posizioni. Il tema anima il dibattito politico da settimane e il disegno di legge Calderoli sull’autonomia differenziata – sostenuto in particolare da Regioni come l’Emilia-Romagna, la Lombardia e il Veneto – si prepara a iniziare il suo iter in Parlamento, dopo aver avuto il via libera dal Consiglio dei ministri lo scorso 2 febbraio. L’autonomia differenziata si basa sui “livelli essenziali di prestazioni”, i Lep: sono standard di qualità che servono a misurare in modo univoco il livello dei servizi pubblici erogati in qualsiasi parte d’Italia. Vengono stabiliti dallo Stato, sono validi per tutte le Regioni, puntano a condurre tutti verso gli stessi livelli di efficienza. I Lep verranno definiti nei passaggi successivi, ma il principio è lo stesso adottato per i “Lea”, i Livelli essenziali di assistenza, già in uso da circa dieci anni nel sistema sanitario nazionale. Proprio su questo punto si concentra l’analisi di Gimbe, molto critica sul progetto di autonomia differenziata.
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La mobilità sanitaria interregionale: vince il Nord
“La sanità rappresenta da oltre vent’anni – sostiene la fondazione – un ecosistema dove il processo di definizione di standard nazionali (i Lea), il loro monitoraggio e le azioni intraprese dallo Stato non hanno affatto ridotto le diseguaglianze regionali, e in particolare il gap strutturale Nord-Sud, che su vari indicatori è addirittura peggiorato, come documentano anche i dati sulla mobilità sanitaria”. I pazienti possono infatti farsi curare anche in altre Regioni e in quel caso la prestazione viene rimborsata dal sistema sanitario regionale di residenza a quello della Regione dove il paziente va a curarsi. Ogni regione registra quindi movimenti di emigrazione e di immigrazione sanitaria: un paziente catanese può curarsi a Milano ma anche uno fiorentino può curarsi a Palermo. Questa mobilità sanitaria interregionale ha prodotto in Sicilia, solo nel 2020, rimborsi per 287 milioni di euro e ricavi per circa 50 milioni di euro, mentre l’intero meccanismo nazionale evidenzia come vi sia una forte capacità attrattiva delle Regioni del Nord rispetto a quelle del Sud. Per la Corte dei Conti, tra il 2010 e il 2019 ben 13 Regioni del Centro-Sud hanno accumulato un saldo negativo (il risultato tra i rimborsi erogati e ricevuti tra Regioni) di 14 miliardi di euro. La Sicilia nel 2020 ha un saldo negativo di 228 milioni di euro. In Italia il 75 per cento di queste compensazioni interregionali si riferisce a ricoveri ospedalieri e day hospital.

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Cosa sono i Lea e com’è andata in dieci anni
I Lea, livelli essenziali di assistenza, “sono le prestazioni e i servizi che il servizio sanitario è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di compartecipazione (ticket). Ogni anno il ministero della Salute valuta l’adempimento delle Regioni nell’erogazione dei Lea, attraverso la ‘Griglia Lea’, strumento di valutazione costituito da 34 indicatori ripartiti tra attività di prevenzione collettiva e sanità pubblica, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera”, spiegano da Gimbe. Gli analisti dell’Osservatorio hanno elaborato di recente un report che passa in rassegna i dieci monitoraggi annuali del ministero dal 2010 al 2019 e calcola le percentuali di rendimento in base ai punti ottenuti da ogni Regione, su un massimo di 2.250 raggiungibili nel decennio di valutazione. Dalla classifica finale emerge che nessuna Regione ha ottenuto il massimo e che le Regioni del Sud si trovano ben distanti da quelle del Nord per quanto riguarda le prestazioni sanitarie. La Sicilia in questa classifica non è messa malissimo, ma è la penultima della zona gialla, con un rating del 69,6 per cento contro il 93,4 per cento della prima, l’Emilia-Romagna e una differenza con quest’ultima di oltre 500 punti.

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Sistema sanitario equo solo sulla carta
Monitoraggio annuale con la Griglia Lea, piani di rientro, commissariamenti: lo Stato ha messo in campo vari strumenti per tentare di migliorare le prestazioni sanitarie erogate e riequilibrare il divario tra Regioni in questo importante settore della vita pubblica. Ma i dati “documentano la persistenza di inaccettabili diseguaglianze – osserva Gimbe – tra i 21 sistemi sanitari regionali, sia nell’offerta di servizi e prestazioni sanitarie sia negli esiti di salute”. Per questo, secondo l’Osservatorio, la sanità sarebbe una “cartina di tornasole” e le maggiori autonomie richieste da alcune regioni che sono proprio quelle che vantano le migliori performance sanitarie, “è inevitabilmente destinata ad amplificare le diseguaglianze di un Servizio sanitario nazionale oggi universalistico ed equo solo sulla carta”, sostiene Gimbe. Prima ancora che arrivi l’autonomia differenziata, i principi costituzionali che sono alla base del servizio sanitario sono già a rischio. Il ragionamento potrebbe essere esteso anche ad altre materie di legislazione ‘concorrente’, ovvero dove si incrociano i poteri tra Stato e Regioni. “Il regionalismo differenziato – proseguono gli esperti – finirà dunque per legittimare normativamente e in maniera irreversibile il divario tra Nord e Sud, proprio nel momento in cui il nostro Paese ha sottoscritto con l’Europa il Pnrr, che ha l’obiettivo trasversale di ridurre le diseguaglianze regionali e territoriali”.

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Anci Sicilia: “Un rischio reale per gli enti locali”
“Il disegno di legge sull’autonomia differenziata rappresenta l’inizio di un percorso legislativo che ci preoccupa perché, oltre a rappresentare un rischio reale per l’unità del Paese, rappresenta per gli Enti locali un rischio ancora maggiore, creando una separazione definitiva tra comuni di serie A e comuni di serie B”. Tra le sue prime parole da nuovo presidente di Anci Sicilia, Paolo Amenta si sofferma proprio sul ddl Calderoli e sulle necessarie risorse. “Su questa materia occorre definire con chiarezza se si vogliono determinare fabbisogni standard, Livelli essenziali delle prestazioni e obiettivi di servizio e contemporaneamente bisogna dire quali siano le effettive coperture finanziarie. Quello dell’autonomia differenziata rappresenta, in particolare per la Sicilia, un percorso che deve essere accompagnato da una Intesa tra Stato, Regione Siciliana ed enti locali, che, tenendo conto dell’insularità e dell’autonomia speciale, garantisca ai cittadini servizi della stessa qualità di quelli offerti dagli altri comuni del Centro e del Nord d’Italia”. Gimbe, alla fine della sua analisi, non usa mezzi termini ed esorta a “non utilizzare il regionalismo differenziato come ‘merce di scambio’ per conciliare gli obiettivi di un partito fortemente nazionalista con quelli di una forza politica che da tempo spinge sulle autonomie regionali e sul federalismo fiscale”. Il tema è destinato a restare tra i più caldi.