Tante cose da fare, pochi soldi per farle. Potrebbe essere riassunta così la storia dell’Autorità di bacino distrettuale della Sicilia, nata nel 2018 per “assicurare la difesa del suolo e la mitigazione del rischio idrogeologico, il risanamento delle acque, la manutenzione dei corpi idrici”. Istituita con trent’anni di ritardo rispetto alla legge nazionale, la struttura ha avuto un lungo rodaggio, sia dal punto di vista economico che dei progetti. “Nei primi anni l’Autorità non ha avuto somme a disposizione per intervenire sul territorio. L’anno scorso le cose sono cambiate, con circa 15 milioni di euro complessivi tra fondi regionali ed europei”, spiega a FocuSicilia Leonardo Santoro, segretario generale dell’organismo da gennaio 2022. Delle risorse a disposizione, “circa cinque milioni sono stati spesi per interventi strutturali, mentre 10 milioni sono stati utilizzati per attività di studio, ricerca e monitoraggio”. Ciò che è più importante, sottolinea il dirigente, è che l’Autorità abbia iniziato a funzionare. “Per il 2023 servirebbero circa 20 milioni di euro, ma non so se questa posta di bilancio verrà inserita nella prossima Finanziaria regionale”, osserva Santoro.
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Un organismo “anomalo”
Le Autorità di bacino sono state introdotte in Italia con la Legge 183/1989, e sono organismi sovra-regionali sottoposti alla vigilanza del ministero dell’Ambiente. Quelle attualmente esistenti, dopo una serie di accorpamenti avvenuti nel corso degli anni, sono le Autorità di bacino delle Alpi orientali, del Fiume Po, dell’Appennino settentrionale, dell’Appennino centrale e dell’Appennino meridionale. La Sicilia, in virtù della sua autonomia, ha seguito una strada diversa. Qui l’Autorità di bacino è stata istituita con la Legge regionale 8/2018, quasi trent’anni dopo la norma nazionale, inquadrata presso la presidenza della Regione, e ha assorbito diverse competenze tra cui alcune dell’Assessorato Territorio e Ambente. “Questo fa sì che, oltre ai compiti di vigilanza e monitoraggio degli altri organismi, abbiamo anche la gestione del demanio idrico fluviale, con un aumento considerevole delle spese di intervento”, spiega Santoro. Caratteristiche che fanno dell’Autorità di bacino della Sicilia “un unicum normativo, insieme alla Sardegna, che ha seguito un percorso simile”.
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Il finanziamento del Governo
La maggior parte dei finanziamenti deriva dalla Regione e dall’Unione europea, ma alcuni contributi vengono anche dallo Stato centrale. Per l’Autorità di bacino della Sicilia la Legge di bilancio 2023 ha stanziato un milione di euro. Una cifra apparentemente modesta, che però ha una destinazione specifica. La norma prevede infatti che venga utilizzata “per la gestione delle risorse idriche, ivi compresi gli eventi climatici estremi, e valutando gli impatti osservati, simulati e attesi anche in condizioni di cambiamento climatico”. Un tema enorme, considerando che in Sicilia, negli ultimi dodici anni, si sono verificati almeno 175 eventi estremi, che molto spesso hanno interessato proprio fiumi e torrenti, con frane ed esondazioni. Nello specifico, precisa Santoro, “le risorse sono destinate a studi, ricerche e raccolta di dati sul cambiamento climatico”, ma anche all’acquisto di apparecchiature per le rilevazioni. “È chiaro che per interventi di messa in sicurezza dei fiumi siciliani servirebbe una cifra ben maggiore di questa”.
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Il Regio decreto del 1904
Come accennato, l’Autorità di bacino ha più funzioni rispetto alle strutture omologhe del resto d’Italia. Tra le altre, l’organizzazione e il funzionamento del servizio di “polizia idraulica”, cioè la vigilanza sulle attività e sulle opere che vengono realizzate all’interno delle aree del demanio fluviale. “In altre parole abbiamo la gestione del settore idrico a tutto campo, dal cambiamento climatico agli acquedotti”, chiarisce Santoro. La normativa di riferimento in tal senso è a dir poco vetusta. Si tratta del “Testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse categorie”, introdotta con Regio decreto del 25 luglio 1904 dal secondo governo Giolitti. Per Santoro un aggiornamento sarebbe auspicabile. “Qualsiasi legge, dopo qualche decennio, avrebbe bisogno di una messa a punto. Figuriamoci una norma che ha oltre cent’anni e che interviene su una materia in costante evoluzione. Questo intervento, però, spetta a Roma”.