Sulla questione dei balneari la procedura di infrazione Ue per l’Italia si fa sempre più vicina. Dopo la formale messa in mora del dicembre 2020, la Commissione europea ha inviato una lettera con la quale “si chiede alla Repubblica italiana ad adottare le disposizioni necessarie per conformarsi al presente parere motivato entro due mesi dal suo ricevimento”. Se ciò non accadrà scatterà la procedura di infrazione con tutte le conseguenze – anche economiche – del caso. Nel mirino della Commissione europea c’è la mappatura delle concessioni esistenti, che coprirebbero un terzo delle aree disponibili. Risultati respinti da Bruxelles. L’accusa per il Governo italiano è quella di non rispettare la Direttiva europea 123/2006 – meglio nota come direttiva Servizi o Bolkestein, dal nome del suo promotore – che prevede la messa a bando dei servizi. Sarebbe stato violato anche il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue), nella parte che riguarda la durata delle concessioni.
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Mappatura delle coste bocciata dall’Europa
La situazione delle concessioni balneari è stata affrontata da FocuSicilia in diversi articoli. Dopo i numerosi rinvii degli anni scorsi – che avevano portato a ripetute proroghe delle concessioni esistenti in attesa della nuova normativa di settore – Roma aveva deciso di effettuare una mappatura delle coste. Ciò al fine di determinare l’eventuale scarsità della risorsa, condizione fondamentale per l’applicazione della Bolkestein. Lo scorso ottobre il Governo ha comunicato i risultati della mappatura, effettuata da un apposito Tavolo tecnico. “È risultato che la quota di aree occupate dalle concessioni demaniali equivale, attualmente, al 33 per cento delle aree disponibili”. Un dato respinto dalla Commissione, secondo cui la mappatura “non riflette una valutazione qualitativa delle aree in cui è effettivamente possibile fornire servizi di concessione balneare” e inoltre “non tiene conto delle situazioni specifiche a livello regionale e comunale”.
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Perché l’Ue chiede l’infrazione sui balneari
Da una parte Roma è accusata di non rispettate l’articolo 12 della direttiva Bolkestein, secondo cui “qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali”. L’applicazione è contestata dalla categoria, secondo cui le concessioni balneari sono un bene e non un servizio. La “scarsità della risorsa”, inoltre, non risulterebbe dalla mappatura. Dall’altra parte l’Italia violerebbe l’articolo 49 del Tfue, secondo cui “le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate”, divieto che si estende “all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro”. Norma che sarebbe aggirata dall’attuale situazione degli stabilimenti balneari italiani.
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La posizione del Governo e dell’opposizione
A smentire la possibilità di una procedura di infrazione è stato il ministro dei Trasporti e vicepremier Matteo Salvini. “Siamo pronti a dare risposte immediate alla Commissione europea sul tema balneari, per dare un quadro certo alle amministrazioni territoriali e agli operatori economici”. Allo stesso tempo, però, il ministro rivendica i risultati del Tavolo tecnico “Solo il 33 per cento della risorsa è occupata, per cui non possiamo parlare di una risorsa scarsa”. A contestare questa posizione è il Partito democratico. “Sulle concessioni balneari un altro bluff da parte del Governo, sotto scacco delle lobby. Vogliono aggirare la questione, dopo una procedura d’infrazione europea e una sentenza del Consiglio di Stato, mettendo a bando le poche spiagge libere rimaste”. Per i dem “in Italia si raggiungono vette di 70 per cento di spiagge occupate”, a fronte di canoni “irrisori, per la maggior parte meno di 2.500 euro all’anno“.