Sui beni confiscati alla mafia da destinare ai centri antiviolenza sulle donne la Regione promette di dare, mentre lo Stato è deciso a togliere. Da una parte il governatore Renato Schifani afferma di voler destinare un altro bene sottratto alla mafia “per realizzare un Centro di formazione per le donne vittime di violenza“. Dall’altra, il governo italiano intende tagliare dal Pnrr decine di progetti contro la violenza di genere, da realizzare proprio in immobili sottratti a Cosa nostra. Secondo i calcoli effettuati da FocuSicilia su dati Spi Cgil, si sfiora la cifra di 14 milioni di euro. Conti alla mano, circa il 17 per cento degli 82 milioni di tagli complessivi al capitolo beni confiscati in Sicilia. Un corto circuito che toccherà a palazzo d’Orléans risolvere. Nelle settimane scorse, infatti, Schifani ha annunciato che i progetti sui beni confiscati stralciati dal Pnrr “saranno coperti con il Fondo sviluppo e coesione“. L’Isola ha diritto a oltre 6,5 miliardi, ma per sbloccarli serve “l’accordo con la Presidenza del Consiglio dei ministri”, a tutt’oggi non firmato.
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A rischio 14 milioni di finanziamenti
I fondi, insomma, sono di là da venire, mentre i tagli appaiono assai più concreti. E come detto rappresentano una parte non trascurabile dei progetti da realizzare nei beni confiscati alla mafia stralciati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, secondo i dati del sindacato inviati a Schifani e mai smentiti. Non di rado, i progetti contro la violenza sulle donne definanziati dal Pnrr superano il milione di euro di finanziamenti. Cifre non facilmente rimpiazzabili per i magri bilanci dei Comuni siciliani, spesso a rischio dissesto, e della stessa Regione. Per fare qualche esempio, con la revisione del Pnrr salta il recupero di un bene confiscato a Paceco, in provincia di Trapani, “da destinare a uffici comunali e a sportello contro la violenza sulle donne e di genere”. Il valore del progetto supera i 2,4 milioni di euro. A Lentini, in provincia di Siracusa, viene meno la realizzazione di una “casa di accoglienza per gestanti e donne con figli”, per poco meno di 2,2 milioni.
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Il dettaglio dei progetti “tagliati”
Va considerato, inoltre, che i servizi di assistenza per le donne spesso rientrano in progetti più generici di inclusione sociale. Anche in questo caso, molti di essi sono stati stralciati dal Piano, facendo levitare il volume complessivo dei tagli operati da Roma. Particolarmente numerosi i tagli nel catanese. Ai piedi dell’Etna vengono definanziati progetti contro la violenza sulle donne a Piedimonte (1,7 milioni), Pedara (1,4 milioni), Tremestieri (660 mila euro) e Nicolosi (330 mila euro). E ancora, Agrigento deve rinunciare a un milione per il progetto “Non ti lasciamo sola”, destinato al “sostegno psicologico, legale e assistenziale” per donne in difficoltà. Con la revisione del Piano salta la realizzazione, a Palermo, di uno “sportello di ascolto e orientamento per donne vittime di violenza”. Il valore del progetto sfiora i 900 mila euro. Anche a Caltanissetta viene meno il progetto di realizzazione di un “Centro antiviolenza e casa accoglienza” per circa 850 mila euro.
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Una revisione ancora da approvare
Come detto, il valore complessivo dei tagli al capitolo beni confiscati in Sicilia è di circa 82 milioni. La provincia più sacrificata è Palermo (28,2 milioni), seguita da Trapani (11,5 milioni), Caltanissetta, (10,5), Catania (8,6), Siracusa (sette), Messina (3,2). In generale, i tagli per i Comuni siciliani valgono circa 1,5 miliardi di euro, su 16 miliardi di tagli in tutta Italia previsti nella revisione del Pnrr. La motivazione ufficiale fornita dal governo italiano è che si tratterebbe di progetti difficili da completare entro il 2026, cioè entro la time-line prevista dal Piano. Il condizionale è d’obbligo, poiché la proposta di revisione del governo italiano non è stata ancora accettata. Il ministro degli Affari europei Raffaele Fitto ha incontrato lo scorso quattro settembre la Commissione europea, che deve ancora pronunciarsi. Solo allora si saprà se i tagli prospettati da Roma saranno effettivi, e se la Regione dovrà davvero correre ai ripari attingendo ai Fondi di sviluppo e coesione.