L’approvazione di una blockchain regionale contro la contraffazione potrebbe essere “a una svolta”. Lo spera la sua promotrice, la deputata M5s Jose Marano, che a oltre un anno dal primo disegno di legge dovrebbe vedere la sua proposta discussa in aula. “È all’ordine del giorno martedì – spiega a FocuSicilia – quindi c’è la possibilità che venga approvata questa settimana”. Se così fosse, lo sviluppo del progetto potrebbe iniziare alla fine del 2019.
Come funziona la blockchain
La blockchain (letteralmente “catena di blocchi”) è una tecnologia nata con i bitcoin, ma che può essere utilizzato oltre il settore finanziario. È un database distribuito che, grazie alla crittografia, permette di archiviare un dato, rendendolo poi visibile, tracciabile, non modificabile e protetto da attacchi informatici. È “distribuito” perché è composto da “nodi”, non è controllato da autorità centrali – almeno nella sua versione più pura – ed è accessibile a chiunque. Le caratteristiche della blockchain la rendono adatta al comparto agroalimentare, dove l’origine e la lavorazione della materia prima hanno un peso decisivo. È stata già utilizzata da grandi società che scambiano commodity, da cantine per certificare l’origine del vino e da alcune catene di supermercati. Da qui nasce la proposta Marano: costruire una blockchain regionale per arginare la contraffazione. Si partirebbe da “prodotti dell’eccellenza e dalla filiera delle Dop, Doc, Docg e Igp”. L’uso della “catena” crittografata permetterebbe di verificare l’attendibilità del proprio fornitore, passo dopo passo fino ai consumatori finali: con un’etichetta intelligente che utilizza Qr Code (già molto diffuso su milioni di confezioni), Nfc e Rfid (le tecnologie che permettono di pagare il conto con lo smartphone o con le carte senza toccare il Pos) avrebbero la possibilità di conoscere la provenienza dei prodotti e informazioni su nascita, confezionamento, trasporto e vendita.
Il percorso (faticoso) della proposta Marano
Il percorso della blockchain siciliana è iniziato nell’agosto 2018, quando Jose Marano ha depositato la proposta di legge. Da lì, però, non si è mossa: “Non è mai stata neanche discussa in commissione”. La deputata ha quindi provato vie traverse: “Ho presentato emendamenti alla Finanziaria e collegati per velocizzare l’iter”. Senza grandi risultati. Lo scorso giugno, Marano ha organizzato un convegno all’Ars per parlare di blockchain con istituzioni, imprese e cittadini. Ma, ricorda, “del governo non si è presentato nessuno”. L’ultimo tentativo, però, ha fatto un passo in più: la blockchain è stata inclusa nel collegato discusso e approvato in commissione a metà settembre. “Questo passo – afferma la deputata – mi fa ben sperare che siamo sulla soglia della svolta”. Adesso si va in aula. “Se l’emendamento ricevesse il via libera, si potrebbero già avere i primi passi operativi tra la fine di quest’anno e l’inizio del 2020. Altrimenti, se si dovesse tornare al ddl, conoscendo i tempi della Sicilia, si arriverebbe a metà dell’anno prossimo solo per l’approvazione della legge”. Balla quindi un anno o poco meno.
“Le coperture non sono un problema”
“C’è curiosità rispetto alla blockchain”, afferma Marano. “L’assessore all’Agricoltura Bandiera ha dimostrato attenzione per un tema caro al governo come la tracciabilità. Ma non capisco perché si proceda così lentamente. Voglio pensare che i ritardi siano legati alla volontà di comprendere meglio le possibili implicazioni di quella che potrebbe essere una rivoluzione”. La deputata è convinta che la cautela non sia legata alle coperture. “Si parla di risorse che per un bilancio regionale non sono esagerate”. Il disegno di legge prevede una spesa di 500 mila euro per la realizzazione della piattaforma nel primo anno e di 300 mila in quello successivo. Cui si aggiungono 100 mila euro l’anno per “manutenzione ordinaria” e 100 mila per spese correnti nel primo triennio. L’esborso previsto per i primi tre anni sarebbe quindi di 1,2 milioni. Per reperire le coperture, “potrebbe essere utilizzato un capitolo dell’agenda digitale dedicato all’innovazione. O attingere dai 45 milioni che il governo nazionale ha stanziato per progetti come questo, sia pubblici che privati”.
La lotta per l’integrità dei dati
La spesa, secondo Marano, sarebbe contenuta soprattutto se confrontata con i danni provocati dalla contraffazione. “Solo per fare un esempio, il pistacchio di Bronte fake vale circa 120 milioni l’anno. Parliamo di un danno per la nostra economia, per il mondo del lavoro e per la salute dei cittadini”. La deputata è quindi convinta che la blockchain possa “portare frutti positivi, sia per le aziende siciliane sia per la tutela dei consumatori”. Neppure questa tecnologia, però, è blindata. Il dato che certifica il prodotto deve trasferirsi dal mondo fisico a quello digitale. Ed è un passaggio che resta esposto: se l’informazione originaria è falsa, lo rimarrà. “La blockchain – conferma Marano – non elimina la contraffazione con la bacchetta magica, ma avvia un processo virtuoso, grazie alla decentralizzazione. Ci sarà chi farà il furbetto, può capitare. Ma essendoci un incrocio continuo di dati lungo l’intera filiera, chi truffa verrà scoperto”. “La contraffazione è una piaga – conclude – e le istituzioni non possono essere disattente”.