Da oggi la Gran Bretagna è fuori dall’Unione europea, ma non cambierà nulla. Ed è proprio questo il problema per le imprese. Perché, in attesa di regole che potrebbero penalizzare gli scambi commerciali, a fare danni è l’incertezza. “Adesso è francamente difficile capire come funzioneranno le cose. Non credo ci sia qualcuno in grado di garantire tranquillità”, afferma a Focusicilia Nino Salerno, delegato di Sicindustria per l’internazionalizzazione. Ma è proprio l’incertezza “uno dei mali peggiori, perché provi a immaginare cosa possa accadere invece di fare”. Così, mentre si consuma uno strappo che Salerno definisce “politico”, “saranno ancora gli imprenditori a pagare”.
Perché l’incertezza è un problema
La Brexit non è un punto ma un processo. Dal primo febbraio, la Gran Bretagna è fuori dall’Ue, lo Union Jack è stato ammainato d’avanti al Parlamento europeo, ma la nuove regole (dai visti alla circolazione delle merci) sono ancora tutte da definire. Si è aperto il periodo di transizione, che durerà fino alla fine del 2020. Solo nei prossimi mesi, dopo i negoziati, si capirà se la Brexit sarà un divorzio o una più blanda separazione. “Non è possibile immaginare, già dal primo giorno, le conseguenze di una decisione di questo tipo”, afferma Salerno. “Noi italiani, e ancor di più noi siciliani, siamo avvezzi all’incertezza. Dovremmo essere più bravi degli altri a gestirla”. Le ripercussioni, però, potrebbero farsi sentire: “Potrebbe registrarsi un aumento dei costi sui prodotti scambiati e potrebbero esserci complicazioni burocratiche, ad esempio a livello di spedizioni e dogane”. Il rischio, afferma il delegato di Sicindustria, è “un impatto sul volume degli scambi”. Non tanto per le nuove regole (che ancora non si conoscono) ma proprio per colpa dell’incertezza. “Se devo importare o esportare un autotreno, in attesa di capire le conseguenze della Brexit, la cautela potrebbero farmi optare per un container di venti piedi”. Cioè per un carico minore. Prese singolarmente, scelte come questa possono sembrare piccole. Ma moltiplicate per migliaia di carichi, di centinaia di aziende, si traducono in una riduzione degli scambi e quindi del giro d’affari.
I rapporti con Londra
Sicindustria, al momento, può fare poco se non osservare. In questo quadro nebuloso, però, emergono anche fattori che rendono Salerno “fiducioso”. Di certo, per la Sicilia, il Regno Unito resta “un mercato di grande interesse, soprattutto per agroalimentare, finanza e istruzione”. In generale, sottolinea il delegato, “chi svolge attività in maniera seria e contribuisce a creare posti di lavoro viene guardato con un’attenzione particolare. Sotto questo aspetto, mi sento di dire che se si opera in modo equilibrato le difficoltà possono essere superate”. E poi ci sono i rapporti tra Italia, Sicilia e Gran Bretagna, che sono sempre stati, “sia dal punto di vista politico che economico, corretti”. “Credo sia interesse di entrambe mantenerli tali”. Un’intenzione manifestata anche dall’ambasciatore britannico Jill Morris, ospitato lo scorso dicembre a Palermo proprio da Sicindustria.
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Coldiretti: a rischio Dop e Igp
La Brexit però non è una linea retta tracciata tra Europa (Sicilia) e Londra. Perché attorno ci sono altri attori internazionali. “Ci sono Paesi, anche molto vicini a noi, come alcune del Nord Africa, che marciano con ritmi di crescita elevati mentre combattiamo sui decimali”, sottolinea Salerno. È in questa direzione che va l’allarme di Coldiretti Sicilia. Fuori dall’Europa e con proprie dogane, il Regno Unito potrebbe scegliere di non adottare i regolamenti e gli standard comunitari sulle merci. Ed è in questa direzione che sta andando il premier Boris Johnson. Tradotto: garanzie più lasche su prodotti come Dop e Igp. Così, afferma Coldiretti Sicilia, il Regno Unito “rischia di diventare il porto franco del falso Made in Italy in Europa per la mancata tutela giuridica dei marchi dei prodotti italiani a indicazioni geografica e di qualità, che rappresentano circa il 30 per cento sul totale dell’export agroalimentare tricolore”. Dop e Igp sarebbero quindi esposti alla “concorrenza sleale dei prodotti di imitazione realizzati oltreoceano e nei Paesi extracomunitari”. Sull’intero settore agroalimentare italiano potrebbero pesare gli “ostacoli amministrativi alle esportazioni”: un flusso di capitali di 3,4 miliardi di euro che rende la Gran Bretagna il quarto partner commerciale nel settore.