È stato il mantra economico della Lega. Sarà – con tutta probabilità – abbandonato dal nuovo governo: la flat tax non compare nel programma. Le priorità sono altre. Intervistati da FocuSicilia prima della crisi di governo, Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica di Milano, e Alessandro Albanese, presidente vicario di Sicindustria, hanno manifestato tutte le loro perplessità. Cottarelli ha smontato i tre obiettivi della flat tax: combattere l’evasione fiscale, rilanciare il tessuto imprenditoriale, aiutare le famiglie in difficoltà. Per Albanese, più che singole misure come la tassa piatta e il salario minimo, servirebbe “una riforma complessiva del sistema fiscale”.
I dubbi di Carlo Cottarelli
La versione inserita nella legge di Bilancio 2019 è stato solo il primo passo verso una flat tax integrale, con aliquota unica del 15 per cento. Con il nuovo governo, l’unica certezza è – a oggi – quella di un regime forfettario ampliato: pagano il 15 per cento le partite Iva con un reddito inferiore ai 65 mila euro. Cottarelli è critico su un’ipotetica flat tax: prima di tutto non è detto che meno tasse significhi meno evasione: “Occorrerebbe preparare il provvedimento assumendo che non ci sia un recupero di evasione e se poi si recupera davvero, tanto meglio. La letteratura economica è incerta sul fatto che empiricamente una riduzione della tassazione possa effettivamente limitare l’evasione fiscale. Insomma, non mi fiderei”. Resta così una riforma monca, con il forfettario ampliato già in vigore e un secondo scaglione (ricavi tra i 65 mila e 100 mila euro tassati al 20 per cento) che dovrebbe diventare effettivo dal primo gennaio 2020 (ma dipende dalle scelte del nuovo esecutivo): “È il contrario della flat tax – afferma Cottarelli – perché l’aliquota sarebbe molto bassa fino ai 50-60 mila euro familiari e poi si impenna”. C’è poi il tema delle coperture. Secondo l’ex ministro Tria, sarebbero arrivate dal taglio alla spesa pubblica. Ma servono già 23 miliardi per evitare l’aumento dell’Iva. Insomma, per l’ex e il nuovo governo, il nodo è lo stesso: “Se la riforma sarà finanziata in deficit prendendo in prestito i soldi dagli italiani, non cambia nulla. L’imprenditoria non potrà mai avere nessuno spunto perché la situazione economica resta quella che è”.

Sicindustria: Sud, il grande assente
I dubbi relativi alle risorse sono condivise anche da Alessandro Albanese: “La Sicilia non è avulsa dal resto d’Italia, quindi credo vada fatto un ragionamento unico dal momento che le conseguenze riguardano tutti. Il primo nodo da sciogliere è quello delle risorse: tutto quello che serve ad abbassare le tasse va nella giusta direzione, ma occorre capirne l’impatto sull’economia reale. È per questo che la prima riduzione deve essere quella sui fattori di produzione. Senza crescita non è possibile pensare a un futuro economico del Paese”. Per Albanese, inoltre, i problemi relativi alla Sicilia e al Sud in generale non sono stati inquadrati nella maniera più corretta dal precedente governo. “Sicuramente alleggerire la pressione fiscale renderebbe le nostre imprese più competitive. Questo è un dato di fatto, ma nel Def le parole Mezzogiorno e Sud appaiono poco e legate quasi esclusivamente alla misura ‘Resto al Sud’ e al turismo. Il risultato di questo approccio è una forbice sempre più larga con il Nord. Appare fondamentale rivederlo, in un’ottica di lungo periodo. Gli oltre 20 milioni di cittadini del Mezzogiorno, come Grecia e Portogallo insieme, rappresentano una parte fondamentale della domanda interna. E di un aumento di questa ne beneficerebbe enormemente l’intero Paese”.
“Serve una riforma fiscale”
Le criticità sono da individuare anche nella complessa macchina burocratica e nella mancanza di una riforma ad ampio raggio. “La competitività del Paese e non solo della Sicilia – continua Albanese – deve essere al centro della riflessione in un quadro di politica economica di medio-lungo periodo: in Italia c’è un carico fiscale sul lavoro che arriva fino al 120 per cento. La risposta non è il salario minimo né la flat tax, ma serve una riforma fiscale complessiva. In Sicilia, poi, il tutto è reso ancora più complesso da un contesto troppo spesso poco ospitale per gli investimenti produttivi. I ritardi e le inadempienze generano sfiducia, allontanano gli investitori, creano povertà e bloccano la crescita delle imprese. Se parliamo quindi di rilancio del tessuto imprenditoriale siciliano – ha concluso Albanese – dico che la qualità amministrativa è una condizione primaria di competitività dei territori e una pubblica amministrazione efficiente ed avrebbe efficace avrebbe il merito di rendere la Sicilia credibile e attrattiva”.