Una dispersione scolastica al 25 per cento, contro una media nazionale che scende al 14, e non raggiunge nemmeno il 10 nel Centro-Nord. Si tratta di uno dei (tanti) record negativi di Catania, una città “dove oggi portiamo alcune delle maggiori esperienze contro il contrasto alla povertà educativa d’Italia”, come spiega Antonio Fisichella, membro del Comitato contrasto alla povertà educativa e disagio giovanile oltre che del Coordinamento Pnrr del capoluogo etneo. L’occasione è quella di un convegno sul tema delle Comunità educanti tenuto in un luogo simbolo della periferia urbana, la parrocchia Beata Vergine Maria in cielo Assunta alla Playa, la chiesa del “tondicello”, zona ai margini dei quartieri Angeli Custodi e San Cristoforo. L’obiettivo di una “comunità educante”, fondata a sua volta su un “patto educativo territoriale”, è del resto quello di mettere insieme scuola, famiglie e terzo settore per creare soprattutto in contesti come questo un terreno di crescita reale. E quando una comunità non funziona a livello educativo il sintomo maggiore è proprio la dispersione scolastica, quella che porta entro il diciottesimo anno d’età un quarto dei giovani catanesi a non avere un titolo di studio.
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L’importanza dei dati raccolti in modo “scientifico”
“Non siamo qui perché il tema della povertà educativa è di moda, e nemmeno perché ci sono dei dati drammatici a Catania. Lo siamo perché parliamo del futuro concreto delle bambine e dei bambini, in modo tale che non ci siano opportunità negate”, spiega in apertura del dibattito Adriana Laudani, anch’essa membro del Comitato contro il contrasto alla povertà educativa e del Coordinamento Pnrr. Ma avere numeri precisi sulle “opportunità negate”, ovvero quanti ragazzi siano all’interno della “dispersione scolastica” nelle varie zone della città “è uno dei problemi principali da risolvere: i dati vengono condivisi con la Regione, ma non sono messi a sistema. Servono dati più precisi, da elaborare, oggi facciamo fatica a ricostruire una mappa”, spiega Fisichella. La base da cui partire sarebbe del resto proprio questa, ovvero “un monitoraggio effettuato con criteri scientifici. Noi lo abbiamo fatto raccogliendo i dati con la collaborazione delle università di Bologna e Ferrara”, spiega uno degli ospiti dell’incontro, Giovanni Lolli, responsabile del Patto educativo di comunità del distretto ferrarese sud/est.
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Nel 2016 il ferrarese somigliava a Catania
Quella della provincia di Ferrara sembra all’apparenza una realtà molto diversa dalla Sicilia, ma nella realtà “i dati di dispersione scolastica, quando abbiamo iniziato il percorso del patto educativo territoriale nel 2016, erano molto simili a quelli catanesi”, afferma Lolli. I nove comuni del distretto, Portomaggiore, Argenta, Ostellato, Codigoro, Comacchio, Goro, Lagosanto, Mesola, Fiscaglia, avevano complessivamente una dispersione scolastica al 24,4 per cento, che scendeva al 17 per cento considerando anche il sistema integrato, ovvero anche i percorsi di formazione professionale e apprendistato. “Al 30 giugno 2022 siamo arrivati rispettivamente al 14,6 per cento e al 9,3 per cento. In pratica abbiamo recuperato oltre un punto percentuale l’anno”, spiega Lolli. E la strategia attuata in questi anni è nella teoria piuttosto semplice. “Un patto educativo di comunità non è altro che una alleanza nella quale si stabiliscono protocolli molto chiari, dove nelle linee guida è definito chi fa cosa, come, in che tempi e con quali competenze. Capofila è il comune più rappresentantivo, Comacchio, che coordina in maniera inter-istituzionale il patto”. A finanziare gli interventi, che comprendono anche percorsi di orientamento a partire dalla prima media e interventi individualizzati, “c’è in primis la legge 328 dei piani di zona, oltre ai fondi della Regione Emilia-Romagna stanziati con la strategia aree interne”.
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Morniroli: “La povertà educativa fa perdere il 3,5% del Pil”
In rappresentazione del Forum Diseguaglianze e Diversità è presente Andrea Morniroli della Cooperativa sociale Dedalus di Napoli. “Spesso – spiega – si commette l’errore di pensare che il problema della povertà educativa sia solo degli ‘ultimi’, una nicchia. In realtà un quarto degli alunni di 15 anni in Italia ci dicono che non raggiungono i livelli minimi di apprendimento in italiano e matematica. L’ottanta per cento degli alunni in povertà educativa sono i figli dei poveri. Inoltre – prosegue – la mobilità sociale è bloccata perché su cento alunni di famiglie di operai 80 vanno vanno agli istituti professionali, mentre i figli di laureati professionisti al 90 per cento frequentano un liceo. Tutto questo ogni anno fa perdere all’Italia il 3,5 per cento del prodotto interno lordo, e non può essere corollario delle politiche che contano, che sulla scuola sono basate sui progetti Pon, dove il terzo settore interviene spesso come manodopera a basso costo, e al massimo con i progetti si crea una riduzione del danno”, spiega Morniroli. Nel frattempo anche nel capoluogo campano, la dispersione scolastica è scesa da livelli paragonabili a quelli etnei “a circa il 18 per cento”, conclude.


A Scandicci le comunità educanti sono nello statuto
Un concetto ribadito da Ivana Palomba che è assessora all’Istruzione del comune di Scandicci in Toscana. Nella città, 49 mila abitanti nella provincia di Firenze, il concetto di comunità educante è inserito nello stesso statuto comunale. “Noi ci siamo soprattutto concentrati sui servizi nel periodo dai tre ai sei anni – spiega Palomba – e facciamo con l’aiuto delle associazioni del territorio attività estive, spazi per attività e iniziative. Teniamo insieme tutto lavorando costantemente, con l’obiettivo di persistere e sopravvivere a un cambio di amministrazione, di assessori dirigenti scolastici. Speriamo che tutto venga visto come attività fondativa della nostra comunità”. Comunità in cui è nata anche Annalisa Savino, la dirigente scolastica del liceo scientifico Leonardo Da Vinci di Firenze in questi giorni al centro delle cronache per una sua lettera agli studenti a commento del pestaggio di uno studente a opera di giovani militanti di estrema destra, e di cui difende l’operato: “In questo periodo, in cui i ragazzi sembrano percepire il rischio di non avere un ruolo nella società, bisogna prendersi la responsabilità di intervenire”. Palomba infine chiarisce anche le modalità di finanziamento delle attività nella comunità educante: “Facciamo riferimento al nostro bilancio comunale, ma sempre con la consapevolezza che la forza e le relazioni ci permettono di ottimizzare le risorse”, conclude.
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La scelta della preside: “Fin da bambina a S.G. Galermo”
L’incontro, dedicato alla preside Cristina Cascio, per vent’anni dirigente scolastica dell’Istituto omnicomprensivo Musco tra i quartieri Zia Lisa e Librino nella periferia sud di Catania e scomparsa lo scorso gennaio, ha quindi lo scopo di istituzionalizzare seguendo gli esempi di altre parti d’Italia le esperienze virtuose locali. “La Musco è stata gestita dalla preside Cascio come un luogo aperto al quartiere. Portando prima il liceo musicale e poi il coreutico ha dimostrato che si può superare il bisogno creato da una amministrazione assente, sempre con una collaborazione e unità di intenti con le associazioni”, spiega Sara Fagone del Comitato Librino Attivo, e per anni coordinatrice della Rete di associazioni “Piattaforma Librino”.
Un tema che si collega all’esperienza personale prima e professionale poi di Simona Maria Perni, dirigente scolastica dell’Istituto comprensivo Di Guardo Quasimodo di Catania, il cui istituto ha sede nel quartiere di San Giovanni Galermo, nella periferia Nord della città e con problematiche simili a Librino. “Ho vissuto nel quartiere fin da bambina, in questa scuola ho studiato, e ho deciso di fare il liceo classico. Da tutto il quartiere eravamo solo due, e la prima domanda che mi fu rivolta dall’insegnante era se avessi fatto latino alle medie e da quale zona venivo. Mi fu risposto ‘verrai bocciata’”. L’impatto negativo con un mondo della scuola settario, racconta Perni, è stato uno degli stimoli da adulta a “tornare nella stessa scuola da insegnante, nonostante avessi la possibilità di andare in istituti del centro cittadino. Qui ho ritrovato lo stesso dirigente di quando ero studentessa, che aveva instaurato rapporti forti con le associazioni locali. Quando sono tornata come dirigente scolastica abbiamo portato la collaborazione a un altro livello, soprattutto con la Cooperativa Prospettiva: oggi qualunque iniziativa viene condivisa con loro e con il quartiere”, racconta.
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L’esperienza della cooperativa Prospettiva
Una collaborazione attiva tra scuola e “terzo settore” confermata da Glauco La Martina, fondatore di Prospettiva. “Siamo arrivati qui a San Giovanni Galermo quarant’anni fa, inizialmente con una piccola comunità alloggio. Nei primi sei mesi abbiamo subito furti continui, anche di piccole cose. Dopo che abbiamo costruito un campo di calcio, aprendolo al quartiere, le cose sono cambiare. Ma per arrivare a una vera comunità educativa, è necessario che nel discorso sia centrale il Comune di Catania. All’interno ci sono risorse umane prontissime a collaborare. Questo perché deve esserci la consapevolezza che siamo sì una risorsa per il territorio, ma anche solo una piccola parte di questo”, conclude. “Guardiamo con attenzione alle prossime elezioni comunali – spiega Antonio Fisichella del Comitato contrasto alla povertà educativa e disagio giovanile e del Coordinamento Pnrr – perché speriamo che questi temi vengano messi al centro dell’agenda politica”.