Solo 185 abitanti per chilometro quadrato, contro gli oltre 2.500 di Napoli. Parliamo della Città metropolitana di Messina, terza in Sicilia per popolazione dopo Palermo e Catania, ma ultima tra i quattordici enti intermedi italiani per densità di popolazione. La Città dello Stretto è un caso quasi unico al Sud: dal 2001 al 2021 il capoluogo ha perso popolazione più di qualunque altro grande Comune – meno 12,7 per cento da oltre 251 mila ai 221 mila del 2021 – mentre la popolazione invecchia oltre la media italiana. Il dato, evidenziato nell’ultimo focus di Istat sui profili delle città metropolitane, si accompagna però ad altri “record” appartenenti anche a Palermo e Catania. La prima è l’area con meno popolazione attiva d’Italia, mentre Catania ha il reddito medio più basso.
Il caso Messina: la popolazione invecchia “come al Nord”
Negli ultimi vent’anni non solo il comune di Messina, ma tutta la città metropolitana ha subito uno spopolamento senza pari in Italia. I residenti sono infatti passati dai 661 mila del 2001 ai 603 mila del 2021, un calo del 8,8 per cento. Dati che incidono non solo sulla densità abitativa – Messina ha la seconda quota di zone rurali all’interno del proprio territorio ex provinciale, il 70,4 per cento superata solo da Reggio Calabria al 74 -, ma anche come quota di anziani. Il rapporto tra i residenti over 65 e quelli under 14 è infatti di 202 a 100, ovvero gli anziani sono oltre il doppio dei bambini, superiore alla media italiana di 177. Il rapporto, nel 2001, era di 156. Uno status che differenzia Messina dalle altre città della Sicilia e dai loro territori metropolitani: a Palermo il rapporto è di 156 anziani per cento bambini (era a 118 nel 2001), mentre a Catania ci si ferma a 147,6 (era a 111 nel 2001). A far peggio di Messina sono alcune città del Nord: Genova (indice di vecchiaia a 268,7), Torino (215,4), e Venezia (215,3). A queste si aggiunge Cagliari, con un indice di vecchiaia pari a 226,7.
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Produttività, lavoro, reddito. Città siciliane in coda
A Messina tocca inoltre un altro “record” a livello nazionale: secondo i dati raccolti da Istat è anche la grande città con la più bassa produttività nominale per addetto. Il valore aggiunto pro capite raggiunge infatti nel 2020 quota 29.200 euro, meno della metà di Milano prima in classifica (71.200), e peggio di Reggio Calabria che arriva a quota 29.900. A livello di città metropolitana gli ultimi due posti si invertono (Messina passa al numero 13 su 14 con 28.400 euro, Reggio Calabria è a quota 27.300). Per un confronto, i comuni di Catania e Palermo arrivano entrambi a 37.200 euro di “valore aggiunto”, con le aree metropolitane rispettivamente a quota 31.800 e 33.700 euro.
Dati che fanno, paradossalmente, dei due Comuni più grandi della Sicilia sia due delle aree più produttive d’Italia, ma nelle quali si registrano due record negativi. La città metropolitana di Palermo possiede la più bassa partecipazione attiva al mercato del lavoro (tasso di attività della popolazione di 15 anni e oltre), a quota 46 per cento. Il tasso d’occupazione nella popolazione tra i 25 è i 64 anni è anch’esso a livello “record”, pari al 49 per cento, con l’occupazione femminile che raggiunge l’allarmante minimo del 36 per cento.
Il comune di Catania ha invece fra i capoluoghi il reddito per abitante con il valore più
basso, 9.844. E, se in generale i capoluoghi hanno valori più elevati rispetto al resto del proprio territorio metropolitano, unica eccezione è la prima cintura di Catania (i Comuni direttamente confinanti con il capoluogo) con un reddito medio pro capite di 10.011 euro.