L’articolo 2, comma 1-bis, del Decreto Legge 12 settembre 1983 numero 463 convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 novembre 1983 numero 638, disciplina la materia delle sanzioni previste in caso di omesso versamento, da parte del datore di lavoro, delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori. Nella formulazione originaria la norma in commento prevedeva una sanzione penale in caso di omesso versamento, tuttavia con il Decreto Legislativo, numero 8 del 15 gennaio 2016 , attuativo della Legge 28 aprile 2014, numero 67, si è assistito a un intervento di parziale depenalizzazione. Ed infatti, l’articolo 3, comma 6, del citato D.lgs., ha previsto, limitatamente agli omessi versamenti di importo inferiore a 10 mila euro annui, l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 10 mila euro a 50 mila euro.
L’omesso versamento
Dunque, in seguito all’entrata in vigore del Decreto Legislativo numero 8/2016, il nuovo art. 2, comma 1-bis, del Decreto Legge numero 463/1983 prevedeva una: – sanzione penale, in caso di omesso versamento per un importo superiore a 10 mila euro annui, con la pena della reclusione fino a tre anni e la multa fino a 1.032 euro; – sanzione amministrativa, in caso di omesso versamento non superiore a 10 mila euro annui, per un importo da 10 mila euro a 50 mila. In conseguenza, in caso di omesso versamento di importi entro 10 mila euro veniva applicata una sanzione amministrativa pecuniaria, di importo variabile da un minimo di 10 mila euro a un massimo di 50 mila euro, a prescindere dal valore della contribuzione non versata. Dunque, anche se l’importo trattenuto e non versato all’I.N.P.S. era irrisorio, ad esempio pari a 50 euro, la sanzione minima applicabile restava comunque pari a 10 mila euro.
Il calcolo della sanzione
Stante l’evidente disparità di trattamento, l’I.N.P.S. ha tentato di porvi rimedio per vie amministrative, dettando nuovi criteri di calcolo della sanzione in misura ridotta. Così, con messaggio numero 3516 del 27 settembre 2022, l’I.N.P.S. ha chiarito che l’ammontare della sanzione irrogata in ragione della violazione in commento deve essere determinato, dalla sede provinciale del predetto Istituto e mediante lo strumento dell’ordinanza ingiunzione, utilizzando parametri specifici che tengano conto sia dell’importo delle ritenute non versate dal contribuente sia delle eventuali reiterazioni della violazione da quest’ultimo compiute. Il messaggio, inoltre, stabilisce che le citate ordinanze ingiunzioni, per essere valide ed efficaci, devono contenere l’indicazione della possibilità, per il contribuente, di poter provvedere al pagamento della ritenuta evasa entro il termine di 30 giorni dalla ricezione della comunicazione, con l’avviso che, in caso di omesso pagamento nel termine assegnato, l’Istituto porterà ad esecuzione il credito connesso alla sanzione amministrativa nella misura rideterminata sulla base dei predetti criteri.
“Disparità di trattamento”
L’intervento dell’Istituto previdenziale, tuttavia, non ha risolto il problema. Ed infatti, a fronte dei numeri ricorsi in opposizione alle ordinanze ingiunzioni irrogate nei confronti dei datori di lavoro e/o società, anche la giurisprudenza si è trovata a doversi occupare della questione. In particolare, il Tribunale di Verbania ha sottoposto al vaglio di costituzionalità la questione, evidenziando come l’individuazione del minimo nell’importo di 10 mila euro comportasse un’evidente disparità di trattamento in ordine alle violazioni sotto soglia se di importo particolarmente ridotto: “Il trasgressore per un importo minimo oggetto della omissione, pari ad esempio ad euro 100, anche nella irrogazione della sanzione amministrativa minima prevista dalla legge pari a 10 mila euro viene in realtà sanzionato per un importo che rappresenta il centuplo della propria violazione. Ciò con una evidente asimmetria di trattamento dei cittadini che, pure, violando con diversa gravità il precetto normativo, non vedono tale diversa gravità altrettanto diversamente ponderata e graduata nella determinazione della sanzione”.
Le novità del Decreto Lavoro
Il Decreto-Legge 4 maggio 2023, numero 48, recante “Misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – Serie generale numero 103 del 4 maggio 2023, all’art. 23 modifica il quadro sanzionatorio sin qui descritto. In particolare, il comma 1 del citato articolo prevede la modifica dell’articolo 2, comma 1- bis, del Decreto-Legge numero 463/1983, relativamente alle sanzioni previste per l’omesso versamento di ritenute previdenziali di importo inferiore alla soglia di 10 mila euro annui, sostituendo le parole: «da euro 10 mila a euro 50 mila» con le parole: «da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso». Per effetto della suddetta novella normativa, l’attuale impianto sanzionatorio prevede, dunque, che la violazione dell’omesso versamento di ritenute previdenziali sia punita con: sanzione penale, nel caso in cui l’omesso versamento ammonti a più di 10 mila euro annui, con la pena della reclusione fino a tre anni e la multa fino a 1.032 euro; sanzione amministrativa, nel caso in cui l’omesso versamento non superi 10 mila euro annui, con una sanzione pecuniaria da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso (da 10 mila e 50 mila euro nella previgente normativa). Resta fermo che, laddove il datore di lavoro provveda al versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione, la condotta non è punibile, né assoggettabile alla sanzione amministrativa.
Il messaggio dell’Inps
A seguito delle modifiche disposte dal Decreto – Legge numero 48/2023, l’I.N.P.S. ha pubblicato, con il Messaggio del 24 maggio 2023 numero 1931, il nuovo prospetto di calcolo delle sanzioni amministrative pecuniarie, applicabile anche in maniera retroattiva. Ad avviso dell’I.N.PS., infatti, la natura punitiva della sanzione amministrativa, nel rispetto degli articoli 3 e 25 della Costituzione, nonché dell’articolo 7 della Corte europea per i diritti dell’uomo (CEDU) e dell’interpretazione fornita dalla Corte Costituzionale in ordine a fattispecie analoghe, rende sostenibile “un’equiparazione della sanzione amministrativa a quella penale, con conseguente applicazione del principio della retroattività in bonam partem”. Per effetto dell’introduzione della norma, si potrà, pertanto, procedere direttamente all’irrogazione della sanzione così come rimodulata dalla novella legislativa del Decreto Legge numero 48/2023. Con riferimento ai contenziosi ancora pendenti, in sede di udienza, il legale dell’Istituto è tenuto a comunicare alla controparte e al Giudice l’adozione, da parte del Direttore della Struttura territoriale competente, del provvedimento con cui è stato rideterminato l’importo della sanzione amministrativa con i nuovi criteri di calcolo, il quale andrà depositato.
L’eventualità del rinvio
Nel caso in cui le tempistiche non abbiano consentito l’adozione del provvedimento sostituivo in autotutela, occorrerà chiedere al Giudice un rinvio della causa a tale fine. In ogni caso, il relativo pagamento deve intervenire entro 60 giorni dalla prima udienza (se non ancora svolta) o dall’udienza di trattazione già fissata. In caso di accettazione della controparte, previo rinvio della causa al fine di accertare l’avvenuto pagamento nel termine di 60 giorni dall’udienza, il giudizio potrà essere definito con la richiesta di declaratoria di cessata materia del contendere e totale compensazione delle spese.