Controllare tutti non è possibile, ma sapere quanto si stanno muovendo sì. Ci sta provando chi sa molto di noi. Un parente? Un amico? No, Google. La società sta usando la propria tecnologia per stimare quanto la mobilità sia diminuita nel corso di queste settimane di clausura. Stando ai risultati del primo Covid-19 Community Mobility Report, i siciliani (complici le misure restrittive) stanno prendendo molto seriamente la clausura e si stanno muovendo ancor meno di un Paese ingessato come l’Italia. Insomma: la caccia al disertore e il reclamo di poteri speciali non sembra essere giustificata dai numeri. Le presenze nei negozi al dettaglio sono praticamente azzerate. Non sorprende, vista la loro chiusura per decreto. In linea con il dato nazionale è anche la mobilità nei parchi (-91 per cento) e sui mezzi pubblici (calata dell’89 per cento). L’anomalia della regione sta soprattutto nella frequentazione di farmacie, supermercati e alimentari: se in Italia il calo medio è dell’85 per cento, in Sicilia arriva al 93 per cento. I siciliani sembrano particolarmente cauti anche quando si tratta di fare la spesa.
Siciliani casa e lavoro
Come nel resto d’Italia, la mobilità legata al lavoro è quella che ha frenato meno. Il motivo è chiaro: le attività essenziali continuano e gli spostamenti per “comprovate esigenze lavorative” sono ammessi. Il calo regionale è stato del 68 per cento, contro il 63 per cento nazionale. Anche in questo caso, quindi, sembra esserci la conferma di una regione ligia alle restrizioni. Il dato evidenzia, allo stesso tempo, che un terzo dei siciliani frequenta ancora la propria fabbrica o il proprio ufficio. Ma, come dimostrano anche le altre aree del Paese, sembra essere un quota fisiologica. L’unico dato sulla mobilità che aumenta è quello nei “luoghi di residenza”. Google individua più spesso gli utenti a casa. Non sorprende. Ma è questo il dato che, più di ogni altro, dà un’idea di quanto sia rigida la clausura: in Sicilia l’incremento è del 25 per cento, un punto in più rispetto all’intero Paese. Tutte le regioni italiane fanno segnare progressi superiori al 20 per cento. Per avere un’idea di quanto siano forti le restrizioni, basta affacciarsi all’estero: la Francia si ferma a un aumento della presenza casalinga del 18 per cento, la Gran Bretagna al 15, gli Stati Uniti al 12 e la Germania appena all’11 per cento.
Quanto sono affidabili i dati?
Ci sono delle precisazioni necessarie. La prima: Google traccia i dispositivi e non le persone. Se, per assurdo, un solo individuo decidesse di andare in giro con uno zaino pieno di smartphone attivi, secondo Big G nella sua zona ci sarebbe grande traffico. Il caso è quantomeno improbabile. Quindi, pur non potendo sovrapporre con esattezza dispositivi e persone, ci sarà comunque una buona approssimazione. Secondo: il rapporto sulla mobilità non utilizza i dati di tutti gli smartphone ma solo di quelli con la cronologia delle posizioni attiva. È un’impostazione che permette di ricevere consigli su ciò che abbiamo intorno e pubblicità su misura, ma non è attiva di default. Serve quindi un’azione dell’utente perché venga “accesa”. La platea, quindi, si restringe. Si potrebbe dire che i siciliani (e gli italiani) diligenti siano solo quelli con la cronologia attiva. O che mollano il telefono a casa mentre vanno in giro. Vero, in teoria. Ma la mole di dati in possesso di Google è talmente corposa che i disertori dello smartphone dovrebbero essere davvero tanti per avere un impatto significativo sulle statistiche.
Come vengono gestite le informazioni
Il confronto (disponibile solo in termini percentuali e non in numeri assoluti) è tra le ultime settimane e il periodo 3 gennaio-6 febbraio. Da ora in poi, Google aggiornerà il rapporto per capire come la mobilità, dopo essere cambiata, stia tenendo. C’è un problema di privacy? No. O, meglio, non c’è nulla di nuovo rispetto alle solite cose che Big G sa già degli utenti. La loro localizzazione, come spiega la società americana, viene “aggregata e anonimizzata”. I dati personali vengono dissociati dal nome o da altre informazioni che possano ricondurre all’identità e vengono messi in un grande “contenitore” che li rende indistinguibili. In questo modo, il rapporto di Google saquando siamo a casa o al supermercato, a che ora e in quale città ma non il nostro nome. È lo stesso principio e la stessa tecnologia che permette a Maps di segnalare i tratti di maggiore traffico con linee rosse o arancioni. O di dirci quali sono gli orari in cui la palestra è più affollata. L’obiettivo, spiega Google, è “suggerire raccomandazioni sugli orari di apertura dei negozi oppure su servizi di consegna a domicilio”. O ancora per carpire se alcune stazioni di trasporto pubblico vanno potenziate per “consentire maggiore spazio e distanziamento sociale”. In definitiva, “per progettare linee guida che salvaguardino la salute pubblica e le esigenze essenziali delle comunità”.