In Italia i ristoranti sono chiusi, ovunque. Ma possono consegnare cibo a domicilio, sempre e ovunque. Tranne in Sicilia. O forse no. Sul food delivery le regole a livello nazionale sono chiare, mentre nella regione un’ordinanza del 19 marzo che impone la chiusura domenicale agli esercizi commerciali ha generato un pastrocchio. Alcune attività continuano a consegnare, mentre altre – come conferma Guido Consoli, coo della piattaforma Foodys – si stanno fermando nell’ultimo giorno della settimana. Dalla giunta non arrivano segnali univoci. L’assessorato alle Attività produttive promette “verifiche”, ma intanto ci sono già state due domeniche di blackout. Frenando così uno dei pochi settori che, in questo periodo di serrata, sta crescendo e impedendo ai ristoratori di tamponare le perdite.
I camerieri diventano fattorini
La parola che Consoli ripete più spesso è “confusione”. Ce n’è stata molta sin dall’inizio, tanto da convincere la piattaforma ad aprire uno sportello dedicato ai ristoratori. “Molti non avevano compreso la normativa, altri non avevano canali di consegne e le procedure per la Cassa integrazione non sono state subito chiare”. Ecco perché molti ristoranti hanno deciso, dopo la chiusura imposta, di iscriversi a Foodys. Senza clienti seduti ai tavoli, l’unico modo per raggiungerli era cucinare a saracinesche abbassate e portare loro l’ordinazione. Non è certo un modo per andare in pari, ma almeno c’è qualche possibilità di galleggiare e pagare gli stipendi. Arrivati nuovi clienti, “abbiamo assunto nuovi driver”, afferma Consoli. “Alcuni si sono fermati, soprattutto per timore di contagiare figli o genitori anziani”. Ma dall’altra parte molti se ne sono aggiunti, anche tra i camerieri rimasti senza lavoro dopo la chiusura dei ristoranti. Niente più vassoi ma box termici. Solo a Catania (una delle tre città siciliane dove opera la piattaforma, oltre a Messina e Palermo) i nuovi addetti alla consegna sono stati trenta. E su scala nazionale (Foodys è presente anche in altre regioni del centro-sud) l’incremento della flotta è attorno al 30 per cento.
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Il food delivery, quindi, tiene. Nonostante una flotta più ampia, nuovi clienti e ordinazioni in aumento, parlare di crescita solida è però un’altra cosa. Molti ristoranti hanno concordato con Foodys una tariffa ridotta rispetto a quella consueta. Per la semplice ragione che non avevano alternative. Allo stesso tempo, ci sono le nuove spese per la sanificazione e per i dispositivi di protezione che i rider devono indossare: “Incidono molto sui margini”, conferma Consoli. “Le mascherine vengono sostituite a ogni turno di 2-3 ore e i guanti a ogni ordine”. Sono aumentati anche i bonus pagati ai driver, legati a un maggior numero di ordini e di ore lavorate. Senza dimenticare la sanificazione dei box, con vapore a 170 gradi. In breve: dalla piattaforma passano sì più euro, ma una parte più consistente vola via prima di finire nelle casse della società. E poi in questi tempi dall’orizzonte ridotto, c’è l’incognita della tenuta. La piattaforma ha registrato “un forte incremento dal 9 marzo in poi” e “una piccola discesa nella settimana scorsa”. Secondo Consoli non è un caso: dipende dal fatto che “le economie delle famiglie iniziano a ridursi”. Tradotto: chi è a casa, spesso, sta guadagnando meno. E senza una data certa di ritorno alla normalità, c’è il rischio che anche ordinare una pizza a domicilio diventi un lusso (o quantomeno una spesa evitabile). Resta comunque, da tradizione, “un incremento nel weekend”. Già, il weekend.
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Il pasticcio della domenica
“Da due domeniche non facciamo consegne”, spiega Consoli. Cioè da quando, il 19 marzo, la Regione ha emesso l’ordinanza che vieta a tutte le attività commerciali (escluse edicole e farmacie) di operare nell’ultimo giorno della settimana. Per il coo di Foodys è stata “una mazzata” e “una follia”, perché “il food delivery non è stato fermato né in Cina né nel resto d’Italia”. Un danno non da poco perché, anche senza la solita scansione settimanale, le abitudini restano simili: per le consegne, il lunedì è il giorno più povero e gli ordini si concentrano tra venerdì e domenica. Il divieto costa “1500-2000 euro a settimana, che nessuno ci restituirà”. In questa protesta, la piattaforma si trova accanto ai ristoratori, che in questo momento vorrebbero avere quel minimo di libertà che i decreti nazionali hanno concesso. E invece dalla Regione non arrivano segnali chiari. Dall’assessorato alle Attività produttive, guidato da Girolamo Turano, fanno notare che la delibera non fa menzione specifica delle attività di food delivery e a Palermo molte attività continuano a consegnare anche la domenica. Ecco perché “si procederà alle verifiche necessarie per fornire un’interpretazione uniforme su tutto il territorio regionale”.
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Una proposta per i comuni
Foodys, nel frattempo, sta provando a diversificare. Oltre al food delivery, sta imboccando due nuove strade. A giorni siglerà una partnership con un’insegna di supermercati per avviare consegne a domicilio; ci sarà anche la distribuzione di giochi e giocattoli in vista della Pasqua. Restano però risposte all’emergenza, non soluzioni. “Prego il governo di sbloccare le casse integrazioni e i sussidi per riattivare l’economia locale. Le imprese sono già state abbandonate, spero almeno che non lo siano i lavoratori”. Oppure, prevede Consoli, sarà “un periodo buio, di fame, di gente che non saprà come dar da mangiare alla propria famiglia”. Pensando a uno dei beni primari, “piuttosto che dare buoni pasto o aspettare il governo nazionale, i comuni potrebbero strutturare insieme a imprenditori e associazioni sistemi per fornire cibo a chi non può cucinare o fare la spesa”.