Ci sono passi avanti sulla digitalizzazione. Il problema è che sono piccoli in una regione (e in un Paese) che dovrebbe correre per recuperare. L’ennesima conferma arriva PMI Digital Index 2020, l’indice con il quale GoDaddy e Alkemy misurano la digitalizzazione delle piccole e medie imprese italiane. Il punteggio medio è stato di 56 su 100, “lievemente aumentato rispetto allo scorso anno” ma “ancora insufficiente”, spiega il rapporto. All’interno dello scenario nazionale, ci sono regioni che si muovono più rapidamente e altre che rincorrono o perdono terreno. La Sicilia appartiene a queste ultime: è, assieme a Toscana e Abruzzo, quella che registra il punteggio più basso. Lo scorso anno in fondo alla classifica c’erano Abruzzo, Liguria e Piemonte. Vuol dire quindi che le Pmi siciliane, pur migliorando alcuni indicatori, hanno perso terreno nei confronti delle altre regioni.
Sud: male utility e servizi
L’area geografica “sud e isole”, infatti, è passata dai 54,2 punti del 2019 ai 55,6 di quest’anno, rimanendo sotto la media nazionale, in linea con il Centro e poco meglio del Nord-Ovest. Le Pmi del Nord-Est sono invece le più mature dal punto di vista digitale, con 57,2 punti. Il ritardo di Sud e Isole è generalizzato, ma si avverte soprattutto nelle utility: le Pmi del settore raggiungono appena i 50 punti. L’area è in fondo alla classifica anche nella digitalizzazione nei servizi, mentre – rispetto alle altre zone del Paese – si difendono meglio Industria e Construzioni. A livello regionale, le capofila sono Friuli-Venezia Giulia, Puglia, Emilia-Romagna e Marche. Nel complesso i risultati sono comunque deludenti. Guardando oltre la media, basta dire che le Pmi sotto i 40 punti (il 16% del campione) sono più di quelle che superano gli 80 (il 14%).
Cosa vuol dire “digitalizzazione”
La “digitalizzazione” è un argomento ampio. Meglio allora specificare cosa intende GoDaddy con questo termine. L’analisi è stata svolta su 4 mila imprese e ha preso in considerazione 120 parametri raggruppati in tre dimensioni principali: Digital Presence Quality (gli aspetti tecnici della presenza online delle imprese), Reputation Index (la popolarità digitale dell’azienda) e Digital Marketing Index (le azioni di visibilità digitale messe in atto dall’azienda). Per fare qualche esempio concreto: sono stati valutati aggiornamento del sito, ottimizzazione mobile, capacità tecnica, sfruttamento dei social, marketing digitale, presenza locale e analisi dei dati. L’indagine è quindi più focalizzata sull’utilizzo degli strumenti digitali a contatto con il pubblico piuttosto che quelli capaci di migliorare i processi interni. C’è da dire, però, che le due cose (che siano incluse o meno in questa indagine) spesso si accompagnano.
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L’accelerazione durante il lockdown
Tra le altre cose, il PMI Digital Index 2020 ha evidenziato che solo il 41% delle micro aziende è presente online con un sito web “vetrina” rilevabile tramite i motori di ricerca. Di queste, solo una sua quattro riesce ad attrarre volumi di traffico rilevanti sul proprio sito web. E l’idea di “rilevante” di GoDaddy non è stata certo severa: la soglia individuata è stat adi 500 visite al mese. Nonostante il basso grado di digitalizzazione, queste imprese – afferma il rapporto – hanno avuto una “buona capacità di reagire al lockdown”. Circa un quinto delle attività ha esordito nella vendita online o nelle consegne a domicilio proprio durante la fase più acuta dell’epidemia. Che così si conferma, ancora una volta, un acceleratore digitale.