“L’Italia è uno dei paesi europei maggiormente interessati da fenomeni franosi”. Non solo, la situazione va peggiorando “un incremento dell’1,5 per cento della superficie a pericolosità idraulica elevata”. È quanto si legge nell’ultimo rapporto di Ispra sul dissesto idrogeologico d’Italia che si riferisce ai dati del 2018. Un fatto risaputo ai più, ma che non manca di creare morte, distruzione e notevoli disagi legati a frane, alluvioni e fiumi di fango. Certo, si tratta di fattori ambientali, ma spesso la mano dell’uomo non solo è parte in causa, a volte è anche la causa stessa. Sapere come e dove costruire, ad esempio, è un’attività umana come la tutela e la trasformazione del territorio.
Situazioni pericolose
L’abbiamo visto recentemente a Venezia, ma anche a Matera, a Licata e a Reggio Calabria. L’acqua ha letteralmente invaso le strade, arrivando a diversi metri di altezza. Non possiamo non nominare, inoltre, il ponte Madonna del Monte sulla A6 Torino-Savona o, per restare nei confini dell’isola, la frana ad Ispica e quella ormai datata a Letojanni, sulla Catania Messina. Era l’ottobre del 2015 quando è venuto giù un costone coprendo un buon tratto della carreggiata in direzione Catania. Come non pensare, poi, alla strage familiare dell’anno scorso a Casteldaccia. Erano tutti insieme a festeggiare quando sono annegati nelle acque del fiume Milicia. La casa in cui si trovano era abusiva, ma non era mai stata demolita, mentre il fiume avrebbe dovuto essere ripulito dai residui e non lo era. Il dissesto idrogeologico crea situazioni pericolose che spesso non sono affrontate o non lo sono come si deve. La frana di Letojanni, ad esempio, fa ancora bella mostra di sé dopo quattro anni e solo pochi giorni fa sono stati affidati i lavori di ripristino.
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La Valle d’Aosta il territorio più a rischio
Secondo quanto comunica Ispra, in nove regioni su 20 (Valle D’Aosta, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Molise, Basilicata e Calabria), tutti i Comuni hanno aree ad alta pericolosità da frana. La Sicilia non è al 100 per cento, ma si avvicina molto. Sui 390 Comuni siciliani, oltre 92 per cento, ovvero 360, ha una pericolosità sia idraulica che da frana. Numeri che però non danno bene l’idea di quanto territorio sia interessato. Se, infatti, il 100 per cento dei Comuni coinvolti della Valle d’Aosta (la regione più a rischio) corrisponde all’83 per cento della superficie regionale, in Sicilia o in Calabria è diverso. Nel primo caso si tratta del tre per cento di tutta l’isola, nel secondo del sette. Discorso analogo si può fare per l’Umbria e le Marche dove al 100 per cento dei Comuni soggetti a questi eventi corrisponde circa il 10 per cento del territorio.

La popolazione più in pericolo
Occorre fare ancora una differenza tra popolazione e territorio a rischio a causa del dissesto idrogeologico. La densità della gente che abita un dato luogo, infatti, incide molto sui parametri. Ecco dunque che se la Valle d’Aosta è la regione che rischia il maggior territorio per le frane, sono i cittadini di Campania, Toscana, Emilia-Romagna e Liguria quelli più in pericolo. I cittadini a rischio in Sicilia sono 55.987 pari all’uno per cento mentre in tutta Italia 1,2 milioni.

Edifici, imprese e beni culturali a rischio frane
Ispra dà un dato di rischio anche per gli edifici, con un focus su quelli di imprese. Anche per le strutture, come per la popolazione, le regioni che rischiano di più sono Campania, Toscana e Emilia-Romagna. La Liguria, tra le prime fila per i pericoli corsi dalle persone, viene sostituita dalla Calabria quando parliamo di edifici. Su base provinciale, Salerno e Genova hanno il numero più elevato di edifici a rischio frane. Il dato siciliano, ancora una volta, è basso seppure non vuol dire che non ci sia. Sono 31 mila gli edifici rientranti nella graduatoria negativa, che corrisponde a meno del due per cento del totale. La classifica rimane più o meno invariata anche guardando il focus sugli edifici per uso aziendale. La guidano Campania, Toscana ed Emilia-Romagna con, rispettivamente, 18, 10 e 7 mila imprese. Anche i beni culturali possono essere colpiti da questo tipo di calamità naturali. A rischio c’è circa il sei per cento dell’intero patrimonio italiano.