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Più istruite, meno retribuite: non è una regione per donne

In Italia divario salariale e occupazione femminile sono due problemi enormi. E in Sicilia il quadro è ancora peggiore

Più istruite rispetto agli uomini, ma meno occupate e retribuite. Questa è la fotografia delle donne italiane scattata dall’Istat “nell’indagine conoscitiva sulle politiche in materia di parità tra donne e uomini”, presentata alla Camera dei deputati nel 2017. Un’istantanea non ancora sbiadita. Sanare il divario prodotto dal gender gap è una priorità. Non a caso una legge sulla parità di genere nelle retribuzioni sarà una delle principali sfide lanciate dal nuovo governo. E inevitabilmente qualunque misura non potrà prescindere da interventi mirati e complessivi su un altro divario macroscopico: quello tra Nord e Sud del Paese. Con la Sicilia in fondo alla classifica. Il fenomeno è complesso e va letto tenendo in considerazione gli effetti di un welfare malconcio e delle discrepanze storiche tra le diverse aree del Paese. Il divario è infatti declinato in termini di genere, territorio di provenienza e di età anagrafica. Quantità di lavoro e non solo: è una questione di qualità. Retribuzioni più basse, a parità di qualifica, si legano alle minori possibilità di ricoprire figure apicali che inchiodano a posizioni di bassa classifica le giovani donne meridionali.

Sicilia in fondo alla classifica

L’occupazione femminile nelle regioni del Mezzogiorno è la più bassa d’Europa. Secondo i dati elaborati dalla Svimez nel rapporto del 2018 (l’ultimo al momento disponibile), le ultime posizioni in graduatoria sono occupate da Puglia, Calabria, Campania e Sicilia, con tassi di occupazione intorno al 30 per cento, circa 35 punti meno della media europea. In Sicilia c’è uno zoccolo duro di disoccupazione (il tasso è al 23,4 per cento, ma con quello di lunga durata al 14,3), dati drammatici che riguardano le più giovani (la quota di disoccupate tra i 15 e i 24 anni anni tocca il 52,9 per cento) e un’occupazione femminile del 29,2 per cento. Preoccupante non è solo la distanza rispetto agli occupati maschi (il 52,3 per cento), ma anche il fatto che il dato è inchiodato sullo stesso livello di un decennio fa. E non c’è titolo di studio che tenga. Dalle elaborazioni Svimez su dati Eurostat e Istat del 2018, emerge che appena sei donne laureate su dieci hanno un lavoro. La media europea è di otto su dieci. Senza dimenticare le diseguaglianze legate al tempo dedicato al lavoro di cura e alla loro traduzione in termini pratici. La partecipazione delle donne al mondo del lavoro è penalizzata e strettamente connessa ai carichi familiari: nel secondo trimestre 2017, il tasso di occupazione delle 25-49enni tocca l’81,1 per cento per le donne single, il 70,8 per cento per quelle che vivono in coppia senza figli, e il 56,4 per cento per le madri.

Più istruite, meno pagate

Un’altra penalizzazione per le lavoratrici è quella di tipo salariale. Una laureata da quattro anni che lavora al Sud ha un reddito medio mensile netto di 300 euro inferiore a quello di un uomo (mille euro contro 1300). Lo dice la Svimez che ha anticipato l’otto marzo di quest’anno i dati di un rapporto dal nome eloquente: “Questione femminile, altra faccia della questione meridionale”. Eppure, il tasso di scolarizzazione delle donne italiane tra i 30 e i 34 anni, seppur più basso delle coetanee del resto d’Europa, è comunque superiore a quello dei connazionali di sesso maschile. Le donne con una laurea in tasca tocca il 32,4 per cento, contro il 19,9 per cento degli uomini. Ma non basta. E lo dimostrano le cifre snocciolate dall’Istat. “Il divario di genere nel livello di reddito netto mensile per i laureati che lavorano a tre anni da conseguimento del titolo si quantifica in 233 euro nel caso dei laureati di primo livello e in 275 euro per quelli di secondo livello”. Uno dei fattori che incide di più è il lavoro part-time prevalentemente ad appannaggio delle donne. Il divario retributivo si dimezza se si analizza il dato sul tempo pieno in riferimento ai laureati di primo livello e si riduce a 217 euro nel caso dei laureati di secondo livello.

I numeri del divario retributivo

In termini retributivi il distacco tra uomini e donne è rimasto sostanzialmente stabile dal 2008. Nel 2014, il reddito guadagnato dalle donne è in media del 24 per cento inferiore a quello degli uomini (14.482 euro a fronte di 19.110 euro). Il divario, evidenziano i dati elaborati da Istat, varia al variare del titolo di istruzione con una differenza del 40 per cento in termini di salario (6.400 euro rispetto a 10.867 euro) per le donne con un basso livello di istruzione, mentre per le laureate il divario scende al 28% in meno dei maschi (18.326 euro rispetto a 25.624 euro). Va peggio alle donne laureate dedite al lavoro autonomo: il reddito netto è inferiore 44 per cento rispetto agli uomini. Minore quello delle donne con diploma di scuola primaria: il loro reddito è più basso del 24 per cento. Insomma, c’è ancora tanto da fare.

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Roberta Fuschi
Roberta Fuschi
Sono nata a Caltanissetta 35 anni fa. Catanese d’adozione. Scrivo di politica per passione e di questioni sociali per vocazione. In tasca ho un tesserino da pubblicista e sono mie due delle quattro mani che hanno scritto il libro “Violenza degenere. Storia di donne che hanno sconfitto la paura”.

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