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Ecomafie, nell’Isola 7 reati al giorno. I dati di Legambiente

Tra le 2.641 infrazioni ambientali nell'Isola spiccano cemento illegale, smaltimento di rifiuti, incendi e traffico di animali. Un affare da 16,6 miliardi di euro in tutta Italia

Un’infrazione ambientale su 10 tra le 29 mila infrazioni registrate in tutta Italia avviene in Sicilia. I dati sono stati raccolti nel corso del 2018 dalle forze dell’ordine ed elaborati da Legambiente. Nella graduatoria stilata dall’associazione del cigno, che si trova all’interno del rapporto Ecomafie 2019, la Sicilia vale 2.641 reati, il 9,8 per cento del totale italiano. L’Isola è quarta, dopo l’imprendibile Campania con 3.862 reati, la Calabria (3.240) e la Puglia (2.854). 

Il business nero nell’Isola

In Sicilia, i settori più esposti sono ben noti perché facilmente emergono dalla cronaca: per i rifiuti sono 563 le infrazioni accertate, 968 le denunce, 236 i sequestri e sette gli arresti. A questi si aggiungono il ciclo illegale del cemento (480 infrazioni, 590 denunce, 2 arresti, 121 sequestri), gli incendi (341 infrazioni, 7 denunce, 1 sequestro), l’illegalità nei confronti degli animali a mare (982 infrazioni e 37 sequestri). 

Soldi sporchi, il ruolo della criminalità organizzata

C’è una vecchia e aurea regola che certifica i movimenti della criminalità organizzata: il flusso del denaro. Una logica esemplare che trova conferme nei numeri delle ecomafie che, soltanto nel 2018, hanno messo assieme un mercato parallelo e illegale che vale, a livello nazionale, 16,6 miliardi di euro. Per avere un’idea: poco meno della metà dei 37 miliardi della legge di bilancio 2019. Da questo forziere illegale spiccano almeno tre componenti fondamentali: crescita di 2,5 miliardi rispetto al 2017, mercato illegale che vale 11,9 miliardi e investimenti a rischio a quota 4,8 miliardi. Questi comprendono gli appalti nelle opere pubbliche, dato con “incremento da ascrivere allo stanziamento di consistenti fondi destinati ad alcune grandi opere infrastrutturali, sia stradali sia ferroviarie”, si legge nel rapporto e la gestione dei rifiuti urbani. Andando ad analizzare i singoli ambiti, spiccano i capitoli legati agli animali e alle specie protette (3,2 miliardi), seguiti dalla gestione dei rifiuti speciali (2,8 miliardi) e quindi dall’abusivismo edilizio (2,3 miliardi). Legambiente non fornisce dati regionali per quanto riguarda il giro d’affari, tuttavia il valore complessivo della quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia) ammonta a circa 4,8 miliardi, circa un terzo del totale nazionale. Pur non esistendo il dettaglio siciliano, è possibile ipotizzare, considerando la distribuzione statistica delle infrazioni delle quattro regioni meridionali, che almeno un quinto di questa cifra possa riguardare gli affari siciliani.  

30 mila tonnellate di rifiuti nocivi in una cava

A metà giugno i carabinieri di Catania del Noe, il nucleo operativo ecologico, hanno effettuato un sequestrato preventivo in provincia di Ragusa, precisamente nella località Piano Guastella a Vittoria, per una discarica con rifiuti speciali pericolosi. L’area, una cava dismessa, era stata utilizzata come discarica abusiva di rifiuti tossici pulverulenti. Le prime rilevazioni hanno riportato la presenza di un sito con un’estensione di circa 8 mila metri quadri per circa 30 mila tonnellate di rifiuti speciali potenzialmente nocivi per la salute umana. In tutta la Sicilia, secondo dati forniti dalla Filca Cisl regionale, ci sarebbero 270 cave dismesse che non hanno ancora visto l’avvio di riqualificazione ambientale.

Ancora ecomostri nelle riserve

Dal 2009 e fino al 2018, il sistema informativo abusivismo del dipartimento urbanistica dell’assessorato Territorio e ambiente della regione Sicilia (Siab), ha censito 26.674 abusi edilizi per 5,8 milioni di metri cubi di volume. Numeri che si intrecciano con centinaia di storie che variano dagli ecomostri. Parliamo di casi celebri, come l’edificio abusivo poi demolito di Scala dei Turchi, della “collina del disonore” di Pizzo Sella nel palermitano, caratterizzata dall’abusivismo edilizio delle sue villette, e delle decine di abusi perpetrati nelle oasi e nelle aree vincolate. Poi ci sarebbe anche il cemento potenzialmente legale eppure perfettamente inutile delle incompiute: in Sicilia, secondo l’ultimo censimento regionale, sono 154, un quarto di quelle nazionali.

Incendi, un’estate di fuoco

I primi dieci giorni di luglio hanno raccontato il pericoloso ritorno degli incendi, classifica delle infrazioni ambientali che vede la Sicilia in cima da diversi anni. La cronaca ha riportato, con dovizie di particolari, il flusso dei 23 incendi divampati tra il 10 e l’11 luglio, con i casi clamorosi del lungomare di Catania, che hanno visto i bagnanti salvati via mare, l’evacuazione di Calampiso, un villaggio turistico a San Vito Lo Capo, la distruzione della riserve delle Saline a Priolo (il responsabile sarebbe stato identificato e arrestato dai Carabinieri qualche giorno dopo). Storie che raccontano danni ambientali ed economici irreparabili.  

La legge sugli ecoreati e la definizione di ecomafie

La legge numero 68 del 2015, normativa che introduce nel codice penale l’inquinamento ambientale, il disastro ambientale, il traffico e l’abbandono di materiale ad alta radioattività, l’impedimento del controllo e l’omessa bonifica, approvata recependo la direttiva comunitaria 2008/99/CE resta ad oggi, secondo Legambiente, l’unico baluardo utile sul fronte repressivo. Ma anche su quello della prevenzione: nel 2018 la legge è stata applicata dalle forze dell’ordine per 1.108 volte, in crescita di 129 per cento rispetto all’anno precedente. Ecomafia è invece un neologismo creato da Legambiente, che segnala “quei settori della criminalità organizzata che hanno scelto il traffico e lo smaltimento illecito dei rifiuti, l’abusivismo edilizio e le attività di escavazione come nuovo grande business in cui sta acquistando sempre maggiore peso anche i traffici clandestini di opere d’arte rubate e di animali esotici”. 

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