Undicimila opere pubbliche ferme in Sicilia secondo la Banca dati delle amministrazioni pubbliche. Sono un quarto di quelle italiane, secondo Banca d’Italia, e valgono quasi 15 miliardi di euro. Ma la lotta alla burocrazia lenta rischia di peggiorare le cose. “La deregolamentazione, in una regione come la nostra, ci espone agli interessi della criminalità organizzata, dà spazio a corruzione e collusioni”. Un vero e proprio “virus del malaffare” per Mario Ridulfo, segretario regionale di Fillea Cgil, la Federazione italiana dei Lavoratori del legno, dell’edilizia, delle industrie affini ed estrattive. Negli scorsi giorni in tutta la Sicilia si sono succedute indagini e misure cautelari preventive, come arresti e sequestri, relative a tre grandi opere: l’appalto dell’ampliamento del tribunale di Caltanissetta, i lavori sulla SS 640 e quelli sull’autostrada Palermo-Messina A20. A questi si aggiunge lo scandalo delle assunzioni in cambio di appalti al Cas, il Consorzio autostrade siciliane controllato della Regione, con otto arresti. E la recente norma di sburocratizzazione approvata dall’Assemblea regionale siciliana non aiuterebbe. “Rischiamo di avere opere iniziate presto e lasciate incomplete, perché alla fine le conseguenze del mancato rispetto delle regole le paghiamo sempre”. Per il sindacalista non si può risolvere una situazione così complessa “nominando commissari i sindaci di quasi 400 comuni siciliani, i direttori delle Asp e delle aziende ospedaliere”. Anche perché la norma, che negli intenti ricalca il “modello Genova” invocato nelle settimane del lockdown dal governo regionale anche per un ipotetico ponte sullo Stretto, “oltre a rischiare una impugnativa da parte dello Stato per incostituzionalità, avrà bisogno di norme attuative e circolari. Bisogna interessarsi alle opere e agli iter specifici”, commenta Ridulfo.
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I tavoli con Anas e provveditorato alle opere pubbliche
Il tentativo di catalogare le incompiute, “dietro le quali ci sono migliaia di persone che hanno perso il lavoro, già duemila meno rispetto ai 70 mila del 2018”, in queste settimane viene svolto da Fillea su più fronti. Il primo è il tavolo permanente sul monitoraggio delle opere Anas, insieme a Feneal Uil e Filca Cisl. “Abbiamo già avuto da Anas i primi numeri. Si tratta di 4,4 miliardi, ripartiti tra manutenzione programmata e nuove opere”, afferma Ridulfo. Una “prima ricognizione”, che dà però un quadro, allarmante, dei ritardi. Sugli interventi di manutenzione programmata il valore dell’investimento complessivo è pari a quasi 1,2 miliardi di euro, ripartiti su 377 interventi. Ma solo 65 sono attualmente in corso, per 185 milioni di euro. Gli interventi in progettazione sono invece 180, per un investimento complessivo di quasi 800 milioni di euro. Quelli di prossimo avvio, che saranno attivati “entro quattro mesi” secondo quanto comunicato da Anas, sono 91, per un investimento di oltre 100 milioni di euro. “Accanto a questa ricognizione – prosegue Ridulfo – c’è il monitoraggio avviato con il Provveditorato interregionale Sicilia-Calabria alle opere pubbliche“. Le opere in corso di esecuzione sono 381, per un intervento complessivo nelle due regioni di 568 milioni di euro. “La metà di queste opere sono previste in Sicilia, e potrebbero dare occupazione tra diretto e indotto a 8 o 9 mila lavoratori”.
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Patti territoriali bloccati. “Siamo a un punto morto”
Il computo delle opere mai avviate non si esaurisce però ad Anas e provveditorato: il totale di quelle programmate, secondo quanto calcolato dalla Banca d’Italia nel suo ultimo report sull’economia della Sicilia, arriva a 14,8 miliardi di euro. “All’interno ci sono le opere del Consorzio autostrade siciliano (Cas), quelle di Rete ferroviaria italiana (Rfi), le opere per la viabilità interna a carico delle ex province, e quindi della Regione. E i quattro patti territoriali, sostanzialmente a un punto morto”. Proprio sui patti (uno per la Sicilia e tre specifici per le tre città metropolitane di Catania, Palermo e Messina), stabiliti nel 2016 con l’allora governo Renzi e con una previsione di opere pubbliche per miliardi di euro, Cgil e Fillea Catania hanno prodotto un resoconto dello stato di avanzamento. Certificando come l’84 per cento delle opere previste nel territorio etneo sia attualmente ferma, con un totale di oltre un miliardo ancora da stanziare. “La situazione siciliana è identica a quella catanese, e la decisione di fare delle ricognizioni dirette viene proprio dalla mancanza da parte della Regione che avrebbe dovuto coordinare l’azione di monitoraggio”, afferma.
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Covid-19, “centinaia di commissari una sciocchezza”
Alle opere elencate devono peraltro aggiungersi quelle “dell’edilizia sanitaria e ospedaliera legata all’emergenza Covid-19”. Non verranno realizzate solo nuove strutture ospedaliere, ma anche opere di urbanizzazione come strade di collegamento. “Ma c’è sempre il rischio dell’invadenza della criminalità organizzata”, avverte Ridulfo. Parte delle risorse per realizzare le nuove opere verrà dalla rimodulazione dei fondi Ue (Fesr e Poc), prevista dalla Legge di Stabilità regionale. Una prima parte della rimodulazione, per 400 milioni di euro, è stata annunciata dalla Regione nelle scorse ore, in attesa di voto all’Ars. Ma con l’attuale norma sulla sburocratizzazione il quadro potrebbe diventare ulteriormente a rischio di inflitrazioni. Con problematiche, al di là degli aspetti giudiziari, molto pratiche: “se i soldi si iniziano a spendere in un periodo pieno di deroghe ai controlli, si rischia che queste vengano iniziate e mai finite. Siamo molto critici rispetto a una norma regionale che ha trasformato il presidente della Regione in un uomo solo al comando. Anche perché creare centinaia di commissari ci sembra una sciocchezza”, afferma Ridulfo.
“Il problema della burocrazia è la mancanza di tecnici”
Il problema della burocrazia lenta, però, c’è ed è reale. “La burocrazia è lenta perché non è all’altezza, in Italia mancano 15 mila tecnici, geometri, ingegneri e architetti, professionalità che permettano di portare avanti i progetti. Nel comune di Palermo i pochi tecnici andranno in pensione entro pochi mesi o anni. E la soluzione che si trova ogni anno è quella di creare nuove leggi regionali che in realtà complicano il quadro. Siamo un po’ scoraggiati”. E se le opere pubbliche vivono in condizione di grande difficoltà, “legato al prezzo dell’illegalità, ai fenomeni di corruzione e infiltrazione mafiosa”, a farne le spese sono i lavoratori. “Le aziende vengono sequestrate, poi confiscate e affidate all’agenzia nazionale. Ma non ripartono, alimentando la diceria che la mafia dava lavoro, lo Stato no”. Fillea, recentemente udita dalla commissione Antimafia regionale, sta preparando un dossier sui lavoratori coinvolti. “Abbiamo dati molto completi sulle caratteristiche dei beni confiscati, sulla proprietà delle aziende, persino su terreni e macchine. Ma in tutti gli studi si lasciano fuori i lavoratori. La lotta alla mafia è lotta di popolo, e la gente che perde il lavoro viene coinvolta in questo effetto perverso. Speriamo che avendo posto la questione anche all’agenzia dei Beni confiscati qualcosa cambi”, conclude il segretario regionale di Fillea.