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Fuga dalle università siciliane: perso uno studente su quattro

Dal 2007 i tre atenei isolani hanno perso il 27 per cento degli iscritti e il 31 per cento delle matricole: il flusso costa alla regione tre miliardi di euro. E a sparire sono anche i professori

C’è una fuga silenziosa che va avanti da più di dieci anni: è quella degli studenti siciliani. Tra il 2007 e il 2017, le università dell’isola hanno perso oltre un quarto degli iscritti e quasi un terzo delle matricole. Una diaspora che rappresenta anche un danno economico immediato (a vantaggio del Nord Italia), senza calcolare le ripercussioni di lungo termine. 

Un danno da tre miliardi

Secondo la Svimez,  nell’anno accademico 2016/2017 un quarto dei giovani medidionali iscritti all’Università studiava in un ateneo del Centro-Nord. Per contro “la quota di giovani residenti nelle regioni del Centro-Nord che frequenta un’Università del Mezzogiorno è appena dell’1,9 per cento”. Nello stesso anno accademico, il flusso migratorio “intellettuale” ha interessato, sempre secondo la Svimez,  il 30 per cento degli studenti meridionali. Una tasso che per la Sicilia scende leggermente, al 27 per cento. Traducendo le percentuali in persone, vuol dire che circa 40 mila siciliani studiano al Nord. Che implicazioni ha la migrazione intellettuale in termini economici? La Svimez parla di una perdita complessiva di circa 3 miliardi euro annui, dovuta principalmente al calo dei consumi pubblici e privati. Di questi, circa 2 si spostano dal Sud al Nord, contribuendo ad allargare la già ampia forbice che segna il dislivello economico tra le due aree del Paese. Va poi considerato un secondo ordine di fattori: meno iscrizioni si traducono in meno tasse e quindi minore spesa per l’istruzione, minore richiesta, meno cattedre e servizi sempre più scadenti. Tutte cause che spingono i giovani meridionali a emigrare. 

La grande migrazione

Gli studenti stanno scomparendo dalle università del Sud. Lo dicono i dati relativi a iscritti e immatricolati (in netto calo, soprattutto in Sicilia). Le cifre messe a disposizione dall’Anagrafe nazionale studenti del Miur, ci restituiscono una fotografia preoccupante. In dieci anni (dall’anno accademico 2007/2008  al 2017/2018, l’ultimo aggiornato con dati completi), gli iscritti delle tre università statali siciliane (Catania, Messina e Palermo) sono diminuiti del 27 per cento, passando da 144.070 a 105.229. Brusco anche il calo degli immatricolati: da 24.641 a 16.918 (il 31 per cento in meno).

I tre atenei siciliani

Il calo dei iscritti e immatricolati ha interessato in generale tutti e tre gli atenei isolani. Ma qualcuno ha vissuto la crisi più di altri. In dieci anni (dal 2007/2008 al 2017/2018) gli iscritti dell’Università di Palermo sono passati da 57.315 a 40.073 (-30 per cento), gli immatricolati da 9.873 a 6.800 (-31 per cento). Piuttosto simili le cifre di UniCt, dove gli iscritti sono calati del 26 per cento (da 56.745 a 41.989) e gli immatricolati del 35 per cento (da 9.449 a 6.159). A Messina gli iscritti sono passati da 30.010 a 23.167 (-23 per cento), gli immatricolati da 5.269 a 3.959 (-25 per cento). Qualche piccolo segnale positivo si nota però negli ultimi due anni. Nel caso dell’UniMe, i dati relativi alle immatricolazioni del 2017/2018 sono leggermente in rialzo rispetto a quelli dell’anno accademico precedente (3.959 contro 3.531). Un incremento leggero si nota anche negli iscritti di Palermo (cresciuti di circa 500 unità nel 2018/2019). Pressoché invariati i numeri di Catania. Per capire se si potrà parlare o meno di ripresa, però, bisognerà aspettare, quantomeno, i dati definitivi delle scorso anno accademico e di quello che sta per entrare nel vivo. 

Chart by Visualizer

La scomparsa dei professori

A sparire non sono solo gli studenti. L’Associazione per lo Sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (Svimez) ha certificato che gli atenei del Sud perdono circa 120 professori l’anno. Una fotografia esaustiva da questo punto di vista ci arriva dalla tabella “punti in organico 2019” pubblicata dal Miur. Il ministero indica con il valore 100 per cento la soglia “sana”. Cioè quella per la quale a ogni professore che lascia l’insegnamento ne corrisponde uno che lo sostituisce. Bene, tutti gli Atenei siciliani sono sotto la cosiddetta “soglia sana”. Oltre al caso di Catania (inevitabilmente compromesso dai buchi di bilancio) che troviamo al 50 per cento, l’Università di Messina ha un turnover del 65 per cento, mentre quella di Palermo del 71 per cento. Non solo. Il meccanismo dei “punti aggiuntivi” che dovrebbe compensare proprio squilibri come questo, non sembra funzionare: UniCt è tra gli atenei che nel 2019 ha ottenuto zero punti in organico aggiuntivi (UniMe 15 e UniPa 8). Complessivamente, guardando al rapporto cessazioni-punti in organico aggiuntivi, la Sicilia sha un passivo di 72 punti. Per avere un’idea di come va al Nord, basta pensare che il Veneto ha registrato un saldo positivo di 30 punti, il Piemonte di 60 e la Lombardia addirittura di 168. 

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Eleonora Fichera
Eleonora Fichera
Classe ‘89, trent’anni vissuti ai piedi del Vulcano. Giornalista pubblicista, ho studiato Comunicazione e Sociologia.

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