L‘alta velocità e quindi il ponte sullo Stretto sono prioritari per programmare la ripresa dell’Italia. Ne sono convinti i rappresentanti di Unindustria Calabria, Sicindustria, Confindustria Catania e Confindustria Siracusa che insieme hanno preparato un report con i numeri di quello che definiscono “uno dei più clamorosi buchi nell’acqua della storia della Repubblica”. In sostanza, affermano: al sistema Italia e al Sud in particolare, costa di più non farlo. Anche perché lo si paga già adesso senza esserci, considerando che “è costato quasi un miliardo”. E solo fino al 2013 da quando cioè la società Stretto di Messina è stata messa in liquidazione. Da allora vanno aggiunti “quasi due milioni l’anno nel 2014 e 2015 e 1,5 milioni per il 2016”. Ed è una società che ancora vive. Così ancora oggi, tra “un compenso annuo di 160 mila euro” per il commissario liquidatore e le spese legali di un contenzioso giudiziario ancora in corso, se ne devono aggiungere altri. Ecco perché spingono sulla necessità di una gestione commissariale, “con tempi e costi certi. Per far sì che non ci sia più un Paese diviso a metà”.
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Con il ponte più occupazione e crescita dei fatturati
A fronte di un esborso milionario, però, gli industriali siciliani e calabresi mettono l’accento sulle conseguenze, positive, che comporta avere un ponte sullo Stretto. Sia perché “evidenze empiriche dimostrano come gli effetti, diretti e indiretti, delle infrastrutture influiscono positivamente sulla performance del tessuto produttivo”, sia in termini occupazionali e di profitto delle aziende. La stima nel report degli industriali è di 100 mila posti di lavoro all’anno, ma anche di “un aumento della produzione di beni e servizi intermedi da parte delle imprese locali e nazionali, stimato in sei miliardi di euro, e il relativo aumento di occupazione”. A questo aggiungono che chi più guadagna più spende, quindi anche un aumento del gettito fiscale. Non solo. Con il ponte si abbatterebbero anche i costi dell’insularità che “secondo una stima della Regione Siciliana” ammonta “tra i 4 ai 5 miliardi di euro l’anno”.
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Alta velocità ferroviaria
Con il ponte, per cui si stimano “sei anni per la costruzione e 200 anni di vita utile” i tempi di percorrenza dello Stretto si abbatterebbero di due ore per i treni e una per il traffico su gomma. Secondo le stime degli industriali. Cifre temporali che si perdono in attesa di traghettare e alle quali vanno aggiunte quelle economiche. Il costo del Ponte avrebbe dovuto essere di circa 6,3 miliardi di euro, ma “soprattutto per le varianti richieste dagli enti locali”, si è già arrivati a una stima di 8,5. In sostanza, gli industriali di Sicilia e Calabria non hanno dubbi: “Un attraversamento stabile nello Stretto di Messina è vitale per l’economia, strategica per gli investimenti, pubblici e privati, che sono alla base della crescita economica e dell’occupazione”. Avere il ponte potrebbe significare anche alta velocità ferroviaria, seppure per i collegamenti interni dell’Isola andrebbe rivista l’intera struttura di Fs. Un collegamento molto diffuso al Nord e per nulla al Sud che ha contribuito a “un incremento del Pil del 10 per cento dal 2008 al 2018, contro il 3 per cento delle province sprovviste di tale servizio”. Lo spostamento su strade ferrate contribuirebbe, inoltre, ad abbattere l’inquinamento dal momento in cui “il trasporto su strada rappresenta i tre quarti (72 per cento) delle emissioni di gas a effetto serra dell’intero settore mobilità, che a sua volta rappresenta un quarto del totale di CO2 prodotta”. A tutto questo gli industriali aggiungono la mobilità per le persone. Un treno ad alta velocità sarebbe concorrenziale anche ai voli, cari, che collegano la Sicilia con il resto del Paese.
La voce di 650 mila imprese
La richiesta di realizzare il ponte sullo Stretto degli industriali siciliani e calabresi si basa sui numeri delle aziende di questi territori. “Una rappresentanza diffusa e articolata” che conta, insieme, oltre 650 mila imprese (quasi 470 mila in Sicilia e poco più di 187 mila in Calabria) per ricavi che in Sicilia “sfiorano i 40 miliardi e circa 500 mila lavoratori occupati”, in Calabria “oltre 20 miliardi di euro per un totale di 400 mila addetti”.