Per la prima volta nella storia, una varietà di grano Khorasan è stata iscritta al Registro volontario dei grani turanici. In altre parole, da oggi un produttore è stato autorizzato a coltivare e rivendere in Italia una varietà di grano che, secondo gli esperti, è sovrapponibile al Perciasacchi siciliano. Una varietà che a sua volta è iscritta al Registro nazionale delle varietà da conservazione, e come tale può essere coltivata esclusivamente in Sicilia da un numero ristretto di agricoltori “custodi”. “Può sembrare una notizia da addetti ai lavori, ma di fatto si è creato un precedente pericolosissimo per la tutela dei grani antichi”, spiega a FocuSicilia Paolo Caruso, agronomo e consulente esterno del dipartimento di Agricoltura, alimentazione e ambiente dell’Università di Catania. “Come denunciamo da anni, il Registro del turanico rappresenta un modo per aggirare vincoli e tutele che esistono intorno al Perciasacchi. E in generale intorno ai grani antichi“, rincara Caruso.
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Un patrimonio poco valorizzato

Come spiegato da FocuSicilia in diversi articoli, la Sicilia può essere considerata la “patria” dei grani antichi, con ben 57 tipologie identificate, di cui 27 iscritte nel Registro nazionale delle Varietà da conservazione. Un patrimonio equivalente a quello delle altre 19 regioni italiane messe insieme, che però non rende come ci si aspetterebbe. Su 270 mila ettari coltivati a grano in Sicilia, infatti, solo 10 mila ospitano coltivazioni di grani antichi. Ogni ettaro rende circa di una tonnellata e mezza, molto meno rispetto al grano normale. La produzione ridotta è dovuta anche al fatto che circa l’80 per cento dei grani antichi è coltivato in regime di agricoltura biologica. Ovvero in assenza di fertilizzanti e pesticidi chimici. Il volume d’affari, di conseguenza, è abbastanza ridotto. Si parla di circa dieci milioni di euro l’anno. Una cifra modesta considerando che, come detto, l’Isola ospita la metà di tutte le specie di grano antico censite in Italia.
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Perciasacchi sostituto ideale del Kamut
Una filiera fragile, dunque, ma dalle grandi possibilità. Infatti alcune varietà di grani antichi, e in particolare il Perciasacchi, possono essere utilizzati per la produzione di farine ad alta digeribilità e a basso indice di glutine. Equiparabili al Kamut, prodotto registrato da una multinazionale americana, realizzato da una sottospecie del Triticum turgidum. La famiglia del Perciasacchi, dapprima classificato come Triticum turgidum durum ma recentemente “ricollocato” nella sottospecie Triticum turgidum turanicum. La stessa del Kamut, ma anche del Khorasan. Le implicazioni sono potenzialmente “esplosive” per la filiera siciliana. “Negli ultimi anni il Kamut ha avuto dei problemi industriali, che hanno indotto molti grandi operatori del settore della pasta in Italia a sostituirla con materia prima nostrana”, spiega Caruso. Il Perciasacchi sarebbe il sostituto ideale, “ma se si legittima la semina di varietà pressoché uguali fuori dalla Sicilia, è evidente che il grano siciliano viene scavalcato”.
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Lo strano Registro volontario del turanico
Sullo sfondo, aggiunge Caruso, c’è la natura non chiara del Registro volontario dei grani turanici. Istituito con il decreto ministeriale 24 ottobre 2019, durante il secondo governo Conte, tale strumento non è di facile reperimento e le sue funzioni non sono chiare. Secondo l’agronomo, si tratta di “un cavallo di troia” il cui obiettivo di fondo sarebbe “aggirare i vincoli e le tutele che esistono intorno al Perciasacchi. E in generale intorno ai grani antichi”. Anche per questo negli anni scorsi Caruso e altri agronomi hanno posto la questione all’assessorato regionale all’Agricoltura, che a sua volta nel settembre 2021 ha chiesto chiarimenti al Ministero. Senza esito, conclude l’agronomo. “Ancora oggi intorno alle finalità di questo registro regna il mistero. L’unico documento esistente è il decreto istitutivo, silenzio che giustifica le preoccupazioni della categoria”.