Nessun grano Khorashan o turanico, al momento, è stato autorizzato per la coltivazione in Italia. La varietà iscritta alcune settimane fa al Registro volontario dei grani turanici, di cui FocuSicilia aveva dato conto, è “sparita” dalla piattaforma del ministero dell’Agricoltura. Un sollievo per i produttori di grani antichi siciliani, dei quali il cosiddetto turanico è il principale concorrente sul piano commerciale. A far notare la “scomparsa” è Paolo Caruso, agronomo e consulente esterno del dipartimento di Agricoltura, alimentazione e ambiente dell’Università di Catania. “La varietà che il 24 agosto scorso era indicata come ‘approvata‘ risulta attualmente ‘in corso‘ di approvazione. Qualcuno si è ravveduto?”, si chiede l’esperto sulla sua pagina Foodiverso. Secondo Caruso “il mistero del Registro volontario dei turanici si arricchisce di una nuova puntata“, in quanto “il tentativo di iscrivere la prima varietà ‘khorasan’ ha subito una battuta d’arresto“. Se si tratti di una marcia indietro provvisoria o definitiva, sottolinea, al momento non è dato sapere.
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Gli interessi sul grano turanico
Il problema può sembrare burocratico, ma ha ripercussioni sostanziali sulla vita degli agricoltori, assicura Caruso. Secondo l’esperto la varietà di turanico autorizzata a fine giugno – prima della curiosa “sparizione” – è di fatto una copia del perciasacchi. Il cui bacino di mercato è potenzialmente molto ampio. Questa varietà, infatti, può essere utilizzata per la produzione di farine ad alta digeribilità e a basso indice di glutine. Equiparabili al Kamut, prodotto registrato da una multinazionale americana, realizzato da una sottospecie del Triticum turgidum. La stessa famiglia del Perciasacchi, dapprima classificato come Triticum turgidum durum ma recentemente “ricollocato” nella sottospecie Triticum turgidum turanicum. “Non occorre essere degli esperti di grani antichi per capire che tipo di mercato si possa aprire per i produttori siciliani, se le tutele non venissero aggirate in modo sleale come purtroppo avviene”, osserva l’agronomo.

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Il mistero della varietà “sparita”
Ciò che avverrebbe con il Registro volontario dei grani turanici. La vicenda è stata raccontata a più riprese da FocuSicilia. Istituito con il decreto ministeriale 24 ottobre 2019, durante il secondo governo Conte, le sue funzioni non sono mai state chiarite. Nemmeno dopo che Caruso e altri esperti, negli anni scorsi, si sono rivolti all’assessorato regionale all’Agricoltura, che a sua volta nel settembre 2021 ha chiesto delucidazioni al Ministero. Un silenzio che per la categoria autorizza i peggiori sospetti. Per Caruso si tratta di uno strumento “misterioso e subdolo“, che verrebbe utilizzato come un “cavallo di troia” per fare concorrenza sleale ai grani antichi siciliani e italiani. Questi ultimi, infatti, sono sottoposti a una rigida tutela con un numero ristretto di agricoltori “custodi”. “Questo registro è nato con il solo scopo di permettere ad alcuni imprenditori di aggirare l’ostacolo rappresentato dalle varietà locali e di registrarle con nomi diversi“, attacca l’agronomo.
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I numeri della granicoltura siciliana
Il mercato siciliano, per le sue caratteristiche, non può permettersi concorrenza sleale. A dirlo sono i numeri. La Sicilia, da sola, detiene oltre la metà di tutte le varietà di grano antico censite in Italia. Si parla di ben 57 tipologie identificate, di cui 27 iscritte al Registro nazionale delle Varietà da conservazione. Malgrado ciò, il giro d’affari è relativamente modesto. Secondo le ultime stime fornite da Caruso, si aggira sui dieci milioni di euro l’anno. Il motivo fondamentale è che il grano antico copre solo una piccola parte del terreno seminato a frumento in Sicilia. Su 270 mila ettari seminati, solo 10 mila ospitano grani antichi. Ogni ettaro rende circa 1,5 tonnellate, molto meno rispetto al grano “normale”. La bassa resa è dovuta anche al fatto che circa l’80 per cento dei grani antichi è coltivato in agricoltura biologica. Ovvero in assenza di fertilizzanti e pesticidi chimici.