Non conta la forma (dell’appalto) ma la sostanza. Se c’è la volontà di corrompere e la disponibilità a farsi corrompere, poco importa che si passi da un’assegnazione diretta, da una procedura negoziale o da una gara aperta. Lo confermano i dati dell’Autorità nazionale anticorruzione. E lo conferma, ancor più che altrove, il caso della Sicilia: gli indicatori calcolati dall’Anac non segnalano particolari anomalie. Eppure. Eppure è la regione con più casi di corruzione, concentrati soprattutto quando di mezzo ci sono bandi. Con un’anomalia nel settore dei rifiuti: sono andate deserte tutte (tutte) le gare monitorate dall’Autorità in Sicilia.
Rifiuti, gare deserte
Negli affidamenti per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, le stazioni appaltanti (gli enti pubblici) hanno incontrato una “costante e diffusa difficoltà”, soprattuto tra il 2018 e il 2019. “Vi sono state gare – anche più volte bandite – andate deserte nonostante in sede di presentazione dell’offerta fosse stato manifestato l’interesse di qualche operatore economico (ad esempio con la partecipazione al sopralluogo) e nonostante la stazione appaltante abbia tentato, tra la pubblicazione di un bando di gara e la nuova pubblicazione a seguito di gara deserta, di introdurre ulteriori elementi pro-concorrenziali”. Qualcuno si fa vedere ma nessuno partecipa, con il risultato di obbligare il comune ad assegnare “proroghe al gestore attuale”.
“Ostacolano alla concorrenza”: l’en plein siciliano
Il fenomeno, spiega l’Anac, “è particolarmente rilevante” in Sicilia, “dove è stato verificato in tutte le gare vigilate, nonostante gli importi rilevanti e dunque appetibili dal mercato”. Le imprese non si tirano indietro per motivi economici ma per altre ragioni. E non si presentano neppure se convocate: ci sono state infatti “ulteriori anomalie, come l’assenza di concorrenti anche per le procedure negoziate ad invito che le stazioni appaltanti hanno cercato di porre in essere in via transitoria per evitare di assentire ulteriori proroghe ai gestori uscenti”. Niente da fare. Le imprese hanno detto “no” persino quando sono state semplicemente “invitate a indicare altri al loro posto per la partecipazione”. Tutto inutile. Si tratta, come spiega la relazione, di elementi che “inducono a sospettare l’esistenza di condizionamenti che ostacolano la libera concorrenza”.
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Gli appalti sartoriali
Vista la ricorrenza, quello delle gare deserte diventa un vero e proprio metodo. Non l’unico. Aggiudicazione diretta e procedure negoziate hanno cattiva fama perché dipendono dalle scelte della stazione appaltante. Ma dei 113 episodi individuati in tutta Italia tra il 2016 e il 2019, solo venti riguardano affidamenti diretti. Tradotto: visto che questo metodo rende evidente il legame tra corrotto e corruttore, meglio fare il giro largo. L’Anac la definisce “raffinatezza criminale”. Da una parte ci sono gli appalti fatti su misura: non si vince obbedendo ai criteri del bando ma è il bando che obbedisce alle caratteristiche del vincitore. Dall’altra c’è la turnazione di un cartello di imprese. Detto altrimenti: una spartizione.
Gli indicatori non bastano
La relazione definisce una serie di “indicatori”. Dovrebbero rappresentare una spia di qualcosa che non va. Ma, come ammette anche l’Anac, i risultati sono deboli. Perché i dati sono pochi: per sua stessa definizione, la corruzione è un fenomeno elusivo, sommerso. La Sicilia non segnala particolari fattori di rischio. L’utilizzo del massimo ribasso (che potrebbe indicare un’impresa criminale capace di costi proibitivi per chi opera su libero mercato) è in linea con la media del Paese. Il ricorso alle procedure negoziate (nelle quali c’è una forte discrezionalità della stazione appaltante) è molto più basso. I tempi e i costi di realizzazione non si scostano più di tanto da quelli previsti. L’unico valore anomalo riguarda gli “appalti con almeno una variante”: nel 76 per cento dei casi (contro una media del 61 per cento), c’è stata una correzione delle condizioni iniziali. È una fattore di rischio perché può rappresentare un “aggiustamento” (di favore?) in corsa. Di fatto, però, non ci sono cifre che giustifichino il titolo di regione più corrotta d’Italia. Gli strumenti per aggirare le regole senza infrangerle non mancano.