Trecastagni, area della grotta Cicirello. Belpasso, sentiero 786 che lambisce il centro abitato. Castiglione, parco fluviale dell’Alcantara. Cassibile, riserva naturale di Cavagrande. Adrano, riserva naturale dell’ingrottato lavico del Simeto. Sono solo cinque esempi, ma se ne potrebbero citare a decine, di sentieri naturalistici aggrediti dalle microdiscariche di rifiuti abbandonati. “Un problema che ha assunto ormai toni drammatici”, racconta Carmelo Nicoloso, una guida ambientale escursionistica professionista aderente a Lagap e coordinatore della sezione Mezzogiorno d’Italia del Comitato Parchi nazionali italiani. “Un fenomeno che ci costringe – commenta – a figure vergognose e imbarazzanti quando accompagniamo turisti ed escursionisti, perché molti tratti dei sentieri sono abbandonati e invasi dai rifiuti. Noi segnaliamo continuamente, ma vediamo che non bastano gli sforzi che qualche Comune, come Adrano, ha fatto per bonificare i siti. È fondamentale un presidio del territorio, anche con droni e fototrappole, ed è importante alleggerire la burocrazia, che ha tempi intollerabili: a cinque anni dall’incendio del 2017 a Cavagrande, tanto per fare un esempio, quell’area non è ancora stata messa in sicurezza”.



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I furgoni bianchi che scaricano nel tardo pomeriggio
Giuseppe Riggio gestisce un turismo rurale sull’Etna ed ha fatto parte del direttivo regionale del Cai, che si occupa ufficialmente di identificare i tracciati e inserirli nel Catasto nazionale dei sentieri, in forza di una convenzione col governo nazionale. “Chi utilizza i sentieri non li sporca – spiega – e il problema dei rifiuti interessa solo le parti iniziali dei percorsi, fin dove si può arrivare con i mezzi motorizzati. Noi facciamo continuamente denunce, ma il problema è che non c’è più controllo del territorio. Il Corpo forestale è passato da 1.100 guardie di 15 anni fa alle 300 di oggi, in tutta la Sicilia. Bastano appena a presidiare gli uffici dei distaccamenti. A Nicolosi, per esempio, erano in 30 e adesso saranno tre o quattro. L’ultimo concorso risale a 25 anni fa, l’età media è chiaramente alta. La verità è che in Sicilia non vigila più nessuno. Basterebbe seguire i furgoni bianchi, quelli di certi artigiani che finiscono di lavorare nel tardo pomeriggio. Appostamenti in quelle ore consentirebbero di beccare chi scarica rifiuti ovunque e che oggi sa di rischiare zero”.
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Predisporre piani di vigilanza del territorio
“Ricorrere all’abusivo abbandono dei rifiuti è un fatto ormai ripetitivo – conferma Francesco Lo Cascio, presidente del Cai Sicilia – e non si parla di semplice abbandono ma di discariche e lì la situazione diventa sempre più difficile in ambienti che dovrebbero essere tutelati proprio perché già fragili. Al riguardo la legge è chiara: le competenze sono del sindaco, che attraverso un’ordinanza procede in danno dopo aver individuato il responsabile”. Ma come si potrebbe mitigare il problema? “Con la vigilanza, non c’è altro da fare – dichiara convintamente Lo Cascio – ma questo comporta uno sforzo notevole da parte dei gestori, quali i parchi e i gestori delle riserve, nel predisporre piani di vigilanza. Il Cai offre la sua costante presenza nei luoghi, segnalando tempestivamente gli abbandoni alle autorità competenti, ma solo il presidio dei territorio può essere una forte deterrenza”. Cosa che avviene in qualche caso. “Noi siamo soggetti gestori di intere riserve – aggiunge Lo Cascio – abbiamo messo su un piano di vigilanza attraverso i nostri operatori che sono presenti sul territorio e la nostra presenza scoraggia i soggetti che perpetrano questi delitti ambientali. Chiaramente, questo è più difficile in un territorio più vasto, come un Parco”.
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Affidare al Parco i proventi Tari e la gestione rifiuti
La patata bollente ricade sui sindaci e Carlo Caputo, attuale presidente del Parco dell’Etna, che è stato anche sindaco di Belpasso per cinque anni, può vedere la problematica da una doppia prospettiva: “Non solo il sindaco non ha risorse sufficienti ma, soprattutto, con tutta la buona volontà e il rispetto per le aree naturali da tutelare, ha difficoltà a guardare a territori che spesso sono lontani dal centro abitato, perché deve destinare piuttosto i servizi alla zona urbana, dove i cittadini hanno esigenze ben maggiori e prioritarie”. Caputo evidenzia innanzitutto un difetto di competenze. “Oggi, da vertice del Parco, mi accorgo che sovrintendo a un territorio sul quale spesso non ho poteri. Per esempio, la pulizia spetta ai Comuni e non al Parco. Allora, di fronte alla necessità di tenere pulito il territorio del Parco, direi che bisognerebbe ridisegnare le competenze tra enti e affidare per esempio la gestione dei rifiuti all’interno del Parco all’ente Parco, che dovrebbe però ricevere i proventi della Tari, la tassa sui rifiuti, dei tanti cittadini che hanno la propria casa all’interno dell’area protetta. Naturalmente ci vogliono delle leggi specifiche, ma è un’ipotesi che è possibile realizzare”.