La Sicilia è attanagliata dalle fiamme. Brucia tutto. Un incendio in discarica a Palermo, a Bellolampo crea importanti rischi per l’uomo, per la sua salute. Quando brucia una discarica si diffondono nell’ambiente diossine, polveri sottili e inquinanti gassosi tossici. E soprattutto i famigerati Ipa, Idrocarburi policiclici aromatici, cancerogeni a lungo termine. Un vero e proprio disastro ecologico che in queste ore si sta abbattendo sulla Sicilia, aggredita da numerosi incendi – oltre 50, secondo le stime diffuse oggi dalla Regione – uno dei quali, come dicevamo, nella discarica Bellolampo di Palermo. In particolare sulla quarta vasca, che contiene circa 300 mila metri cubi di immondizia. Una situazione che preoccupa gli esperti. “Quando avviene una combustione di rifiuti è visibile la nube contenente polveri e inquinanti gassosi tossici. Gli effetti possono contribuire allo sviluppo di malattie e nei casi più gravi di esposizioni prolungate di tumori“, si legge in un documento del ministero dell’Ambiente consultato da FocuSicilia. A preoccupare sono in particolare le polveri sottili, “il cosiddetto particolato fine, che può entrare nei polmoni favorendo problemi di circolazione e, per esempio, l’enfisema polmonare“.
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Incendio in discarica a Bellolampo
Al momento a Palermo la situazione non è ancora stata risolta. “Per contenere i danni e abbassare il livello di ossigeno che alimenta le fiamme si sta utilizzando la terra in quantità massiccia”, spiegano dalla Rap, la società che gestisce la discarica di Bellolampo. “Con le nostre pale in mezzo al fuoco stiamo tenendo sotto controllo l’area della discarica colpita dai focolai”, dice il presidente Giuseppe Todaro. Per il numero uno di Rap “la situazione non è semplice” e il personale non è sufficiente a gestire la situazione. Todaro infatti sottolinea “lo sforzo immane degli operatori della Rap che con 50 gradi stanno profondendo sforzi enormi per evitare danni ulteriori e scongiurare il blocco della raccolta dei rifiuti in città”. Le alte temperature, aggiunge il presidente, complicano la situazione. “Favoriscono l’accensione di altri focolai, che si sviluppano in pochi secondi rendendo complicato il lavoro di tutti gli operatori coinvolti nello spegnimento delle fiamme”, aggiunge il presidente di Rap.
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Danni ambientali “per svariati anni”
Secondo gli esperti dei Vigili del fuoco e dell’Ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, che hanno realizzato il documento del ministero, gli elementi tossici prodotti dalla combustione dei rifiuti hanno tempi di smaltimento diversi. “La maggior parte degli inquinanti tende a essere degradata molto rapidamente. Gli Ipa in media spariscono nell’arco di una giornata”. Lo stesso vale per gli inquinanti gassosi, “perché esistono sostanze nell’aria che tendono a decomporli”, mentre le diossine “tendono a conservarsi per svariati anni”. I danni causati dall’incendio, insomma, durano ben oltre lo spegnimento, e interessano anzitutto l’atmosfera. “La combustione di rifiuti determina il peggioramento della qualità dell’aria attorno al sito e nelle zone limitrofe”. Quanto al suolo, “la diffusione degli inquinanti è associata alle condizioni meteo-climatiche del luogo al momento dell’evento”. Vento e pioggia, infatti, possono disperdere le polveri riducendone l’impatto.
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Rischio di contaminazione alimentare
La pioggia, però, è un’arma a doppio taglio. Se da una parte può contribuire a “diluire” le sostanze riducendo l’impatto in una specifica area, dall’altra può portare le tossine nella rete idrica. “In taluni casi, l’effetto del dilavamento può spostare l’inquinamento dalla matrice suolo alla matrice acqua, per esempio quando si riversa lungo un corso idrico superficiale, fiume, lago, mare“, si legge infatti nel documento. Inoltre, in caso di terreno particolarmente permeabile il dilavamento può portare “al trasferimento degli inquinanti nel sottosuolo, con possibile interessamento della falda, dalla quale molto spesso si attinge acqua per scopi irrigui o di abbeveramento degli animali“. In questo caso, avvertono gli esperti, c’è il rischio di “trasferimento dell’inquinamento nella catena alimentare“. Su questo fronte, i tecnici consigliano anche di “non far mangiare il foraggio dell’area contaminata agli animali”, per tutelare le produzioni di latte, carne e uova.