Nella Nota di aggiornamento al Def contano i numeri. Per ora il Mezzogiorno sta nelle parole. Ed è già un passo avanti, perché nella Nadef dello scorso anno non era neanche lì. Nel documento che traccia i confini della manovra 2020, il termine “Mezzogiorno” è presente otto volte e il “Sud” nove. Un dettaglio che non dà certezze, ma che segna uno scarto rispetto al passato: nel testo della Nadef gialloverde del 2018, il Meridione era citato due volte. In principio era il verbo, sperando che arrivi anche tutto il resto. Sì, perché di numeri per i singoli provvedimenti si dice poco. E con la camicia di forza dei 23 miliardi di Iva da neutralizzare, lo spazio per muoversi sarà minimo.
Cosa dice la Nadef sul Mezzogiorno
A più riprese, la Nota di aggiornamento al Def afferma che “gli investimenti pubblici verranno destinati anche alla riduzione del divario tra il Sud e il Nord del Paese. Senza un recupero del Mezzogiorno e senza la sua integrazione nelle dinamiche più vivaci del tessuto produttivo e sociale del Paese, l’economia italiana non potrà raggiungere il suo potenziale di crescita sostenibile”. E ancora: “Non esiste crescita del Paese senza un Sud che cresca”. Si parla quindi di un “piano straordinario di investimenti per il Mezzogiorno”. “L’obiettivo – si legge nella Nadef – è rendere più attrattivi il Sud e le aree interne, offrendo nuove opportunità occupazionali in particolare a giovani e donne”. Si rimanda a un futuro disegno di legge per “favorire l‘autonomia differenziata”. Niente dettagli, però. Per trovare qualche indizio in più, bisogna mettere da parte la Nota e spostarsi sui social. Il ministro per il Sud Peppe Provenzano ha scritto su Twitter che “alla legge di Bilancio affiancheremo il Piano Sud”. Che – ha postato Provenzano su Facebook – va delineandosi in questi giorni: “Ci saranno investimenti pubblici e privati, infrastrutture ambientateli e sociali, innovazione e ricerca, semplificazione delle procedure e coinvolgimento degli Enti locali, per creare occasioni di lavoro buono per giovani e donne”.
L’Iva non aumenterà (ma a che prezzo)
Il Mezzogiorno non è un altro Stato. Quindi, come ha sottolineato Provenzano, le misure previste nella prossima manovra per tutto il territorio nazionale “faranno bene soprattutto al Sud”. La prima è la “completa cancellazione dell’aumento dell’Iva”. Un incremento, come ha spiegato Antonio Guidara, avvocato e docente di diritto tributario dell’Università di Catania, sarebbe stato “un disastro”. Confcommercio aveva stimato una spesa supplementare di 900 euro l’anno per ogni famiglia. Il disinnesco dell’Iva costa caro: circa 23 miliardi, risultato di clausole stratificatesi governo dopo governo. Adesso è il momento di pagare, prosciugando le casse di una manovra che cercherà di muoversi grazie alle coperture: 14 miliardi arriverebbero da una maggiore flessibilità del deficit, 7 miliardi da recupero dell’evasione fiscale. Il resto “dall’efficientamento della spesa pubblica e di revisione o soppressione di disposizioni normative vigenti in relazione alla loro efficacia o priorità”. Cioè la famosa “spending review”, tanto discussa quanto complicata.
Leggi anche – Tutti i punti deboli di quota 100 (e come potrebbe cambiare)
Il taglio del cuneo fiscale
Oltre a “rilanciare gli investimenti pubblici, ad aumentare le risorse per istruzione e ricerca scientifica e tecnologica e a sostenere e rafforzare il sistema sanitario universale”, l’altra promessa che trova posto nella Nadef è “l’impegnato a ridurre il cuneo fiscale sul lavoro”. Cioè, in sostanza, tagliare la differenza tra quanto un lavoratore costa a un’impresa e quanto trova in busta paga. L’intervento potrebbe mettere nelle tasche circa 500 euro l’anno in più. La misura dovrebbe costare circa lo 0,15 per cento del Pil (cioè attorno ai 3 miliardi), per poi salire allo 0,3 per cento nel 2021. Dalle cifre in ballo si nota quanto pesi la neutralizzazione dell’Iva, che vale quasi otto volte la riduzione del cuneo fiscale. Nella legge di Bilancio ci sarà anche “il rinnovo di alcune politiche in scadenza (fra cui gli incentivi Industria 4.0)”. Si dovrà capire come: nel 2019 gli sgravi per l’acquisto di macchinari e per l’ammodernamento degli impianti erano stati alleggeriti rispetto al 2018. Rinnovarli vuol dire confermarli o rimpolparli?
Leggi anche – Fondi Ue, Provenzano: “A rischio decine di milioni”
Pil e consumi al palo
La neutralizzazione dell’Iva è la vera (necessaria) zavorra. E pesa su terreno, quello dell’economia italiana, tutt’altro che solido. La Nota di aggiornamento, infatti, contiene delle stime peggiorative rispetto al Def. Innanzitutto per quanto riguarda il Pil: nel 2019 aumenterà dello 0,1 per cento. Praticamente nulla. Si dovrebbe tornare al già asfittico tasso del 2018 (+0,8 per cento) solo nel 2021. Il documento spiega anche perché le stime sono state ritoccate in peggio: “L’attività economica continuerà a subire gli effetti del rallentamento della produzione industriale tedesca, dell’inasprimento delle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina e del perdurare dell’incertezza riguardo la Brexit”. Scenario internazionale negativo, quindi. Ma non solo: “Si somma una ripresa della domanda interna, in particolare dei consumi, inferiore rispetto a quanto previsto nel quadro programmatico del Def”. Come mai? “Le precedenti stime si basavano sulle valutazioni ex ante dell’impatto dei provvedimenti di quota 100 e reddito di cittadinanza contenute nelle relazioni tecniche. Rispetto alle iniziali stime prudenziali circa la platea dei potenziali beneficiari, il numero delle effettive adesioni per entrambi i provvedimenti è risultato, per il momento, inferiore alle ipotesi”. In poche parole: la formula secondo la quale il reddito di cittadinanza avrebbero spinto i cittadini, con qualche soldo in tasca in più, a spendere e a risollevare i consumi non sta funzionando. Le parole, prima o poi, devono vedersela con i numeri