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La Corte dei Conti stronca la Regione sulle stime di crescita

I giudici definiscono "approssimative” le stime delle entrate, "insufficiente" la conoscenza del patrimonio. E spiegano perché le prospettive di Armao e Musumeci sono un miraggio

Crescita “non realistica”, stime di entrate tributarie “approssimative” e conoscenza del patrimonio “insufficiente”. Ecco i pilastri economico-finanziari su cui la Regione Siciliana ha basato il proprio documento di programmazione 2020-2022. Ancora una volta, le sberle arrivano dalla Corte dei Conti. Insomma, se la giunta vede rosa, per i giudici contabili deve cambiare lenti. Il rischio, come per tutte le costruzioni erette su fondamenta fragili, è che il progetto non stia in piedi. O, quantomeno, non riesca come previsto.

L’ottimismo (immotivato) della Regione

La nota di aggiornamento al Def regionale del 25 ottobre 2019 prevede una crescita del Pil dello 0,6 per cento nel 2020, dello 0,8 nel 2021 e dello 0,9 nel 2022. La Corte dei conti definisce queste prospettive “ottimistiche”. Per almeno tre ragioni. Primo: lo scenario internazionale va peggiorando, soprattutto per le “perturbazioni” dell’economia cinese. Secondo: le previsioni sull’economia italiana sono state ridimensionato (e pare quindi improbabile che la Sicilia possa andare in controtendenza). Negli ultimi cinque anni, ricorda il documento, le stime indicano una variazione cumulata per la Sicilia del +0,9 per cento, con un incremento del 2,5 per cento nel Mezzogiorno e del 4,7 in Italia. Tradotto: c’è poco da sperare, anche perché 2018 e 2019 hanno offerto segnali “preoccupanti” per l’economia regionale. Terzo: lo suggeriscono le “serie storiche”. In altre parole: la Regione viene da anni in cui non ha azzeccato mezza previsione, sovrastimando la propria capacità di crescita. O per dirla con i numeri della Corte: “Nel quinquennio 2014-2018 il divario tra Pil realizzato e Pil programmato si attesta a -6,7 per cento”. Questi tre elementi, messi insieme, “non consentono di considerare realistico il quadro macroeconomico programmatico delineato” dalla giunta.

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Il patrimonio senza mappa

La Corte dei Conti riconosce che l’esecutivo “si è mosso in linea con i tempi richiesti”. Peccato che lo abbia fatto fornendo un documento che “manca degli elementi sostanziali per poter espletare pienamente le proprie funzioni nel processo di programmazione di bilancio”. Un po’ come se avesse consegnato una mappa senza tracciare la rotta del prossimo triennio. E non è solo una questione di stime di crescita sballate. La Corte individua “una certa approssimazione” nelle previsioni di entrate tributarie (che costituiscono il 75 per cento di quelle correnti). Non va meglio alla gestione del patrimonio, che “prende abbrivio dalla esplicita accettazione di una insufficiente conoscenza, quantitativa e qualitativa, del patrimonio immobiliare regionale”. Qui non manca solo la rotta: manca anche la mappa.

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I tagli al personale non servono (quasi) a nulla

L’analisi si sofferma anche su due misure popolari, come le spese per uffici e personale. La Corte riconosce alcuni progressi. È infatti “meritevole di giudizio favorevole” l’attenzione “alla razionalizzazione dell’utilizzo degli uffici in locazione e dell’avvio di politiche di riduzione delle superfici occupate”. Quanto alla spesa del personale regionale, si parla invece di “contrazione assai contenuta”. Soprattutto perché gli stipendi dei dipendenti non evaporano ma si trasformano il più delle volte in pensioni, “il cui costo ha superato in valore assoluto quello sostenuto per le retribuzioni”. Insomma, tagliare i costi degli uffici serve ma non dà certo aria a un bilancio che gli stessi giudici contabili definiscono “asfittico”. Il problema è molto più profondo.

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Aggrappati alla spesa pubblica

Al di là delle singole mancanze, la Corte individua limiti di sistema. “Se da un lato la programmazione regionale punta molto sulla capacità del reddito (e delle pensioni) di cittadinanza e della cosiddetta spesa di sviluppo di stimolare i consumi delle famiglie e gli investimenti fissi lordi, dall’altro proprio queste componenti segnano il maggiore arretramento nel 2019”. La leva che la Regione ha deciso di usare non sta funzionando e la Sicilia è incagliata in “un modello di sviluppo ancora fortemente sbilanciato sugli stimoli indotti dalla spesa pubblica piuttosto che verso la reale crescita della competitività del sistema economico regionale”.

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Paolo Fiore
Paolo Fiore
Leverano, 1985. Leccese in trasferta, senza perdere l'accento: Bologna, Roma, New York, Milano. Ho scritto o scrivo di economia e innovazione per Agi, Skytg24.it, l'Espresso, Startupitalia, Affaritaliani e MilanoFinanza. Aspirante cuoco, sommelier, ciclista, lavoratore vista mare. Redattore itinerante per FocuSicilia.

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