Pazienti che vanno a curarsi in altre regioni: è la cosiddetta mobilità sanitaria interregionale e nel 2020 ha raggiunto il valore di tre miliardi e 300 milioni di euro, con regioni dalle quali si fugge via (la Sicilia è tra queste) e regioni che invece sono maggiormente attrattive perché capaci di offrire servizi sanitari più performanti, come la Lombardia l’Emilia-Romagna e il Veneto. I dati li ha messi insieme la Fondazione Gimbe, utilizzando sia i valori economici aggregati per analizzare mobilità attiva, passiva e saldi, sia i flussi trasmessi dalle Regioni al Ministero della Salute con il cosiddetto Modello M, che permettono di analizzare la differente capacità di attrazione del pubblico e del privato di ogni Regione, oltre alla tipologia di prestazioni erogate in mobilità. La Sicilia sborsa oltre 198 milioni di euro e ne recupera invece appena 25 milioni, con un saldo che supera di poco i 173 milioni di euro.

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Chi fugge e chi arriva: il saldo migliore al Nord
Il saldo, estremamente variabile tra le regioni del Nord e quelle del Sud, è un dato che risulta dalla differenza tra mobilità attiva, ovvero l’attrazione di pazienti da altre Regioni, e quella passiva, cioè la “migrazione sanitaria” dalla Regione di residenza. Tra l’altro, è bene sottolineare che la mobilità sanitaria implica conseguenze sia sociali che economiche ed è un’indicatore delle differenze ancora molto profonde nell’offerta di servizi sanitari tra le varie Regioni e, soprattutto, tra le macroaree d’Italia. Gimbe evidenzia come le Regioni con maggiore capacità attrattiva si trovino “ai primi posti nei punteggi Lea (Livelli essenziali di assistenza), mentre gli ultimi posti sono occupati da quelle con mobilità passiva più elevata. Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto – le Regioni capofila dell’autonomia differenziata – raccolgono il 94,1 per cento del saldo attivo, mentre l’83,4 per cento del saldo passivo si concentra in Campania, Lazio, Sicilia, Puglia, Abruzzo e Basilicata”.


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Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto attraggono di più
La mobilità sanitaria attiva si riferisce alle prestazioni erogate da ciascuna Regione per i cittadini non residenti che vi si recano per curarsi: “in termini di performance esprime il cosiddetto “indice di attrazione” e in termini economici identifica i crediti esigibili da ciascuna Regione”, ricorda Gimbe, che elenca le sei regioni con maggiori capacità di attrazione e che vantano crediti superiori a 150 milioni di euro: Lombardia (20,2 per cento), Emilia-Romagna (16,5 per cento) e Veneto (12,7 per cento) includono complessivamente quasi la metà della mobilità attiva. Un ulteriore 20,7% viene attratto da Lazio (8,4 per cento), Piemonte (6,9 per cento) e Toscana (5,4 per cento). Il rimanente 29,9 per cento della mobilità attiva si distribuisce nelle altre 14 Regioni e Province autonome. “I dati documentano la forte capacità attrattiva delle grandi Regioni del Nord a cui corrisponde quella estremamente limitata delle Regioni del Centro-Sud, con la sola eccezione del Lazio”, si legge nel report.

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Fuga anche dal Nord, ma per andare sempre al Nord
La mobilità sanitaria passiva, viceversa, comprende quelle prestazioni che vengono erogate ai cittadini al di fuori della Regione di residenza. Per Gimbe, “esprime il cosiddetto ‘indice di fuga’ e in termini economici identifica i debiti di ciascuna Regione. Le tre Regioni con maggiore indice di fuga generano debiti per oltre 300 milioni di euro: in testa Lazio (13,8 per cento), Lombardia (10,9 per cento) e Campania (10,2 per cento), che insieme compongono oltre un terzo della mobilità passiva. Il restante 65,1 per cento della mobilità passiva si distribuisce nelle rimanenti 17 Regioni e Province autonome”. La facilità di spostamento tra le Regioni del Nord alimenta gli indici di fuga “molto rilevanti” nella macroarea settentrionale del Paese, dove i cittadini possono usufruire di servizi sanitari di qualità elevata e raggiungibili più agevolmente.

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Prestazioni sanitarie per metà erogate dai privati
A livello nazionale, i pazienti che si spostano verso altre regioni richiedono, nell’85,5 per cento dei casi, prestazioni di ricovero ordinario e day hospital (69,5 per cento) e specialistica ambulatoriale (16 per cento) di cui “oltre la metà viene erogata dalle strutture private – sottolinea Gimbe – segnale inequivocabile di indebolimento di quelle pubbliche”. Alcune regioni superano la metà delle prestazioni private: oltre al Molise (87,2 per cento),
la Puglia (71,5 per cento), la Lombardia (69,2 per cento) e il Lazio (62,6 per cento). Viceversa, in altre Regioni le strutture private erogano meno del 20 per cento del valore totale della mobilità per ricoveri e prestazioni ambulatoriali: Umbria (15,2 per cento), Sardegna (14,5 per cento), Valle D’Aosta (11,5 per cento), Liguria (9,9 per cento), Basilicata (8,1 per cento) e Provincia autonoma di Bolzano (3,4 per cento).
