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La genetica fa rinascere l’asino di Pantelleria: “Era estinto dall’85”

Trentasei anni dopo la morte dell'ultimo esemplare autoctono, tre equini con caratteristiche simili all'80 per cento sono stati reintrodotti nell'isola grazie al progetto della Regione siciliana. Intervista al biologo Biddittu: "Risorse per agricoltura e turismo"

L’ultimo esemplare ha chiuso gli occhi nel 1985. Trentasei anni dopo, l’asino pantesco è tornato a casa. Nelle scorse settimane, tre femmine sono arrivate al Parco nazionale di Pantelleria, nell’ambito di un progetto di reintroduzione della Regione siciliana. Nei prossimi mesi è in progetto l’arrivo di un maschio, per avviare il ripopolamento della specie nell’isola. Non un miracolo, ma il risultato di un paziente lavoro di recupero cominciato alla fine degli anni Ottanta, spiega a FocuSicilia Andrea Biddittu, biologo del Parco. “L’impegno di allevatori e scienziati è stato straordinario, ha permesso di ottenere un animale con caratteristiche simili per circa l’80 per cento all’originale”. Tanto da ottenere l’iscrizione al Registro anagrafico per le razze e popolazioni equine, sottolinea l’esperto. “In futuro, tornando a calcare le strade dell’isola, la popolazione di asini potrebbe selezionare spontaneamente esemplari sempre più simili all’originale”.

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Le caratteristiche dell’animale

A plasmare la razza, infatti, sono state proprio le peculiarità geofisiche dell’isola di Pantelleria. “Un territorio difficile, di origine vulcanica, caratterizzato da strade ripide e impervie che hanno forgiato la struttura fisica dell’asino”, spiega Biddittu. E anche quella caratteriale, vista la natura “particolarmente docile” dell’animale. Secondo gli esperti dell’Istituto incremento ippico per la Sicilia, l’asino pantesco è conosciuto sin dal primo secolo a.C., e sarebbe frutto dall’incrocio tra l’asino selvatico africano e asini siciliani, in particolare ragusani. Gli studiosi hanno evidenziato l’andatura sicura, “difficilmente eguagliata in velocità dalle altre razze asinine”, ma anche la capacità di trasportare “carichi pesantissimi lungo i sentieri dell’isola”. Particolarmente robusti e longevi, gli asini erano “molto apprezzati anche all’estero”. In particolare a scopo riproduttivo, aggiunge il ricercatore.

Le insidie del progresso tecnologico

Per le sue caratteristiche peculiari, infatti, l’asino pantesco poteva essere utilizzato in molti ambiti. “Si tratta di una bestia nata per il lavoro, utilizzata nell’agricoltura, nell’edilizia, nei trasporti”, dice il biologo. Un tempo, quasi tutte le case pantesche avevano una stalla per l’asino, “che grazie al suo carattere diventava a tutti gli effetti un membro della famiglia”. La popolazione nell’isola raggiungeva le 1000/1500 unità, permettendo persino di esportare l’animale per “irrobustire” le altre razze siciliane e italiane. La sua fortuna, spiega Biddittu, iniziò a venir meno con l’arrivo della tecnologia. “Il progresso è stato fatale all’asino di Pantelleria. L’agricoltura venne meccanizzata, le automobili, un tempo rare, iniziarono ad aumentare”. L’animale un tempo indispensabile venne sostituito da nuovi mezzi più rapidi ed efficaci. Un declino culminato con la dichiarazione di estinzione, nel 1985.

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Il progetto (riuscito) di recupero

Quasi subito, per fortuna, iniziò il processo di recupero. A tutelare la razza, a partire dal 1989, è stato l’allevamento pilota “San Matteo” di Erice, con la collaborazione dell’Istituto zooprofilattico sperimentale per la Sicilia e della facoltà di Medicina veterinaria di Milano. La struttura è riuscita a ricostruire il patrimonio genetico della specie “attraverso una serie di incroci selettivi e grazie anche all’applicazione di particolari tecniche come il trasferimento embrionale”, scrive l’Istituto per l’incremento ippico. Un lavoro certosino che ha permesso di ottenere la nuova iscrizione al Registro anagrafico. Attualmente, l’allevamento di Erice conta diverse decine di esemplari. A partire da quest’anno, alcuni di essi hanno fatto ritorno a Pantelleria. “Speriamo che in futuro, con l’arrivo del maschio, possa rinascere una popolazione autoctona”, dice Biddittu.

Da mezzo di lavoro a risorsa turistica

I benefici per l’isola, assicura il biologo, potrebbero essere non indifferenti anche sul piano economico. “Certo, oggi il ruolo dell’asino è stato preso dalle macchine. Questa specie, però, è nata per lavorare, quindi per non perdere le sue caratteristiche dovrà trovare un nuovo utilizzo”. Un’idea potrebbe essere quella dell’impiego turistico, per svolgere escursioni sul modello delle isole greche, a partire da Santorini, dove le escursioni in groppa all’asino sono diventate un vero e proprio business. Biddittu però pensa anche ad altre applicazioni, ad esempio nelle fattorie didattiche o in altri progetti di taglio educativo. “Il carattere mite è una delle caratteristiche peculiari di questo animale. Le prospettive possono essere le più disparate, anche in base alla fantasia degli abitanti”, aggiunge.

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I progetti della Regione siciliana

Intanto gli interventi della Regione siciliana per il rafforzamento della specie non si fermano. L’ultimo risale al 2020, con lo sblocco di un finanziamento del Piano regionale di sviluppo rurale 2014-2022. Circa tre milioni e mezzo di euro per gli allevatori di razze autoctone in pericolo d’estinzione, dai bovini di razza cinisara e modicana al cavallo sanfratellano, fino al suino nero siciliano. A partecipare, oltre cinquemila allevatori da ogni parte dell’isola. Il contributo maggiore è assegnato proprio all’asino di Pantelleria, con 500 euro a capo. C’è anche la manifestazione di interesse, lanciata nelle scorse settimane, per cedere in comodato d’uso diciotto esemplari, tredici maschi e cinque femmine. A poter chiedere l’affidamento enti pubblici e privati, anche del Terzo settore, senza fini di lucro.

Non solo Erice e Pantelleria

L’idea è quella di stimolare l’allevamento della specie anche al di fuori degli ambiti attuali. Oltre all’allevamento pilota di Erice, che ospita il numero maggiore, altri esemplari di asino pantesco si trovano nella tenuta di Ambelia, a Militello in val di Catania, gestita dall’Istituto per l’incremento ippico. La struttura ospita altre specie rare, tra cui il purosangue orientale e l’asino ragusano. I riflettori, però, sono puntati sul futuro della mini-colonia impiantata a Pantelleria. “Per il momento le tre femmine devono ambientarsi e prendere confidenza con il territorio”, spiega Biddittu. Con l’arrivo del maschio, nei prossimi mesi, si aprirà la sfida per il ripopolamento. “Pantelleria potrebbe recuperare uno dei suoi simboli, facendone un motore di sviluppo per i prossimi anni”, conclude il biologo.

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Valerio Musumeci
Valerio Musumeci
Valerio Musumeci, giornalista e autore. Nel 2015 ha esordito con il pamphlet storico-politico "Cornutissima semmai. Controcanto della Sicilia buttanissima", Circolo Poudhron, con prefazione della scrittrice Vania Lucia Gaito, inserito nella bibliografia del laboratorio “Paesaggi delle mafie” dell'Università degli Studi di Catania. Nel 2017, per lo stesso editore, ha curato un saggio sul berlusconismo all'interno del volume "L'Italia tradita. Storia del Belpaese dal miracolo al declino", con prefazione dell'economista Nino Galloni. Nel 2021 ha pubblicato il suo primo romanzo, "Agata rubata", Bonfirraro Editore.

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1 commento

  1. Caro Valerio, ottimo articolo! La razza asinina di Pantelleria diventerà bellissima solo se potrà trovare significato nel Parco Nazionale sostituendosi a quell’inquietante logo dalla “impronta digitale” che sa di indagini girgentane al prossimo processo di Patronaggio al “pantese”. Venticinque anni di produzione asinina lontani dal proprio “ambiente naturale” (la citazione è quella dei Tucci e dei Sammartano in ultimo neologisti del termine habitat) speriamo non sia della stessa “scienza” caprina applicata ad Agrigento.

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