Digital transformation ed ecosostenibilità: queste le parole chiave del lavoro futuro, almeno secondo Unioncamere, che ha reso note nei giorni scorsi le proprie previsioni sui fabbisogni occupazionali in Italia fino al 2023. Due gli scenari previsti a secondo che l’economia sia in crescita o stagnante. Nella migliore delle previsioni, incrociando i dati del sistema informativo Excelsior delle Camere di Commercio con quelli del Fondo monetario internazionale, nei prossimi quattro anni l’Italia dovrebbe vedere tre milioni e 180 mila nuovi occupati. Duecentomila meno nel caso di economia ferma. Quattro quinti dei nuovi assunti però, oltre due milioni e seicentomila in entrambe le ipotesi, saranno dovuti al turnover, ovvero la naturale sostituzione di chi va in pensione. Il resto, 300 mila assunti, avranno tutti una caratteristica in comune, sia che si parli di meccanica che di un impiegato amministrativo pubblico: l’attenzione alle nuove tecnologie e alle dinamiche green, anche in professioni apparentemente tradizionali.
Dietro ai termini innovativi, i vecchi mestieri
“Non lasciamoci però trarre in inganno da parole come digital transformation e green economy: non si tratta di inventare mestieri nuovi, ma di rinnovare quelli esistenti”, spiega Maurizio Avola, docente di Sociologia del Lavoro all’università di Catania. Concetti come “sostenibilità, sicurezza informatica, big data, contenuti nei social, mondo del web, ma anche quelli legati all’ambiente, sono ormai ovunque. Pensiamo – spiega il docente -, a una professione che c’era già prima della trasformazione digitale: l’esperto di marketing. Adesso è quasi sinonimo di social media marketing, ma il lavoro è sempre lo stesso. Queste ipotesi inoltre – prosegue Avola -, hanno la valenza che possono avere tutte le previsioni: analizzano e fanno riferimento a delle tendenze e richieste che emergono dal mercato perché condotte sulle imprese. Ma, come ben sappiamo, affinché si traducano in realtà deve concretizzarsi un’altra serie di fattori”.
Servizi per la popolazione che invecchia
Per il docente “prima di parlare di trasformazione digitale e sostenibilità, ci sono alcune tendenze che riguardano medio e lungo periodo, come l’invecchiamento della popolazione”. Avola rileva come nei dati di Unioncamere le professioni socio-sanitarie siano quelle con maggiori possibilità di impiego. “E non è un caso – spiega il docente -, in quanto la popolazione invecchia e c’è sempre più bisogno di medici infermieri e assistenza agli anziani. Dall’altro lato, con il sistema a numero chiuso, sono diminuiti i medici attivi e molti ospedali e Asp fanno ricorso a medici in pensione”. Il turnover che non è stato fatto negli scorsi anni, insomma, si sposterà nel prossimo quadriennio, con un picco di richieste per i laureati nel settore.
La laurea non garantisce il lavoro, “ma è un valore”
Dall’altro lato lo studio fa emergere un quadro di sostanziale stagnazione del mercato del lavoro per i laureati. A prima vista le quote previste per chi ha una laurea dovrebbero aumentare nei prossimi anni – con un fabbisogno nel mondo del lavoro stimato intorno a un milione l’anno, e una quota di neolaureati annuali sotto le 900 mila unità. Lo studio però sottolinea come le quote andranno a essere colmate anche dai laureati disoccupati già presenti nel mercato. In alternativa, da lavoratori con un livello di istruzione inferiore, ma con più esperienza, soprattutto nei settori dove non sia richiesta una formazione specifica, come quello socio-sanitario. “Il quadro non prevede che ogni laureato trovi l’occupazione desiderata che lo soddisfi economicamente e professionalmente – spiega Avola -, ma è chiaro che se non mi laureo in Economia avrò meno possibilità di fare il manager di una azienda. Il livello di istruzione a livello globale, inoltre, sta crescendo ovunque nel mondo, e l’istruzione è un valore a prescindere dal contesto”, conclude.