Il Pil della regione in calo non ha fermato le imprese siciliane. Nel 2019 hanno chiuso in oltre 22 mila, ma ne sono nate 25.655. Un saldo positivo di 3618 unità, pari a un progresso dello 0,78 per cento. Non si può certo parlare di boom, ma i dati di Unioncamere evidenziano più luci che ombre. Prima di tutto perché c’è un’accelerazione: nel 2018 il tasso netto di crescita era stato dello 0,71 per cento. Qualche centesimo di punto che però acquisisce peso se si guarda oltre l’isola.
Palermo ed Enna nella top dieci
Solo tre regioni (Sardegna, Puglia e Lazio) hanno fatto meglio in termini percentuali. Il Mezzogiorno (pur confermandosi l’area più brillante del Paese) ha frenato, con una crescita passata dallo 0,92 allo 0,71 per cento. Il tasso di crescita della Sicilia è superiore anche rispetto a quello medio italiano, che si è fermato allo 0,44 per cento, il più basso degli ultimi cinque anni. La relativa salute dei dati dell’isola si mostra anche in un altro dettaglio: nella classifica delle dieci province con la crescita maggiore del saldo netto, due sono siciliane. Palermo è ottava (+1,18 per cento), Enna è nona (+1,11 per cento). E nella top 15 ci sono anche Siracusa e Messina. Certo, un conto è fondare un’impresa e un altro è costruirne una di successo, in grado di produrre ricchezza. Ma chiudere il 2019 in positivo nonostante le tensioni internazionali e, nel caso della Sicilia, un Pil in calo è un “un segnale importante”, secondo il presidente di Unioncamere, Carlo Sangalli. Perché significa che “c’è voglia di fare impresa”.
Il traino delle società di capitale
A trainare la crescita sono, come ormai succede da tempo, le società di capitale. Il loro salto positivo in Sicilia supera le 4600 unità, che equivalgono al 4,42 per cento. Cala invece (anche se meno rispetto alla media italiana) sia il numero delle società di persone (ovunque tranne che a Enna) sia quello delle ditte individuali (soprattutto a Ragusa). Le imprese artigiane, categoria trasversale alle precedenti, continua a soffrire: nel 2019 se ne sono perse quasi 700. Il saldo negativo sfiora l’1 per cento, resta più severo rispetto alla media italiana ma è meno nero rispetto al 2018, quando (con un calo dell’1,66 per cento) era stato il peggiore del Paese.
Unioncamere: “Pesano le incertezze internazionali”
Guardando al panorama nazionale, sono 353.052 le imprese nate nel 2019, circa 5 mila in più rispetto all’anno precedente. Sono aumentate, però, anche le chiusure: 326.423, 10 mila in più rispetto al 2018. Il risultato, come detto, è stato un rallentamento. “Si accentua nel 2019 il turnover delle nostre imprese”, ha sottolineato Sangalli. “Le incertezze del contesto internazionale si fanno sentire soprattutto in quei settori più esposti alla concorrenza dei mercati, come la manifattura. Anche il commercio mostra un calo, mentre la capacità attrattiva del nostro Paese alimenta l’industria del turismo, che continua a crescere, così come in aumento sono le attività professionali e i servizi alle imprese”.
Il Sud più dinamico del Centro-Nord
Il dato più positivo riguarda il Mezzogiorno che, con una crescita di 14.534 unità, da solo vale oltre la metà di tutto il saldo positivo dello scorso anno. Tra le regioni, la più dinamica è stata il Lazio: è prima sia per incremento assoluto (9206 imprese) che percentuale (+1,4 per cento). Positivi anche i risultati di Campania e Lombardia. Ad accusare le perdite più significative sono invece Piemonte (-dove si sono perse 1.517 imprese), Emilia-Romagna (-1.431). In termini percentuali, la maglia nera spetta invece al Friuli Venezia Giulia (-0,7%).