“Segui i soldi”. Il monito di Giovanni Falcone sull’economia mafiosa si rivela ancora, a 27 anni dall’omicidio del grande magistrato istruttore del maxiprocesso, il principale elemento d’indagine su Cosa nostra e sulle altre organizzazioni criminali presenti in Sicilia. Un metodo di lavoro che è stato utilizzato oggi da Livio Ferrante e Stefania Fontana ricercatori del dipartimento di Economia e impresa dell’Università di Catania, che insieme al professore Francesco Reito, all’interno di un paper dal titolo Mafia and bricks: unfair competition in local markets and interventions, hanno dimostrato scientificamente il rapporto tra concentrazione produttiva e la presenza mafiosa su un territorio. Lo studio, pubblicato su Small Business Economics, presenta un focus, in particolare, su oltre un secolo di rapporto tra criminalità organizzata e il settore del mattone nell’Isola.
Mafia, mattoni e concorrenza sleale
Incrociando dati storici, provenienti dai primi studi sulla mafia di fine Ottocento, e i moderni studi statistici sull’economia locale, il rapporto tra la presenza di grosse aziende con grande capacità economica e presenza dei clan è evidente. L’inserimento della mafia nell’economia legale non serve solamente a riciclare il denaro frutto delle attività criminali, ma fornisce ulteriori profitti in grado di sostenere i costi dell’organizzazione, come quelli di mantenimento delle famiglie degli affiliati in carcere, basandosi sull’assunto base che le condizioni di bassa concorrenzialità permettono alle imprese mafiose di tenere prezzi più alti e generare maggiori guadagni. La mafia riesce a farlo grazie al proprio potere intimidatorio che porta alla presenza di mercati inefficienti.
La variabile mafia e l’insano lobbying
Per evidenziare questo dato, lo studio si è basato su due indici: il primo è una variabile in grado di cogliere la presenza mafiosa in un comune, ricavato dalle relazioni annuali della direzione investigativa Antimafia ma anche da una corposa letteratura di studi storiografici che risalgono fino ai primi rapporti prefettizzi del 1874. La variabile è denominata nello studio “mafia” e con un valore compreso tra 0 – presenza nulla – e 1 – presenza capillare in un territorio -, indica quanto i clan influenzino la vita di una comunità. Il secondo è un indice di concentrazione produttiva che misura il livello di concorrenzialità nel settore edile all’interno dei 390 comuni siciliani. “Attraverso una serie di analisi di tipo econometrico – afferma Livio Ferrante, autore del paper in peer review internazionale -, mostriamo come all’interno dei comuni siciliani vi sia un rapporto diretto tra la variabile mafia e il livello di concentrazione nel settore delle costruzioni. Quest’ultimo rappresenta un settore economico particolarmente attraente per la criminalità organizzata, essendo caratterizzato da bassi livelli di innovazione, un’alta intensità di lavoro che riesce a creare sacche di consenso sociale, e la forte presenza di commesse pubbliche. La mafia agisce pertanto come una lobby con l’obiettivo di generare una rendita di posizione che va a discapito non solo delle potenziali imprese concorrenti, ma anche del benessere di tutta la collettività locale”.
L’antimafia come anticorpo
Lo studio, oltre a mettere nero su bianco l’evidenza del rapporto diretto tra il potere coercitivo mafioso e l’uso predatorio del mercato dove opera, va però oltre: mostra infatti come la concentrazione del mercato sia sensibile all’attuazione delle due principali politiche antimafia che riguardano lo scioglimento delle amministrazioni locali per infiltrazioni mafiose e il sequestro e la confisca delle imprese appartenenti ai membri affiliati a Cosa nostra. “Dal nostro studio – spiega Ferrante -, si evidenzia come le politiche antimafia che intaccano direttamente gli interessi economici e finanziari della mafia possano effettivamente ridurre l’influenza delle organizzazioni criminali e portare a una maggiore concorrenza sul mercato nel lungo periodo. Solo in questo modo la mafia sembra perdere legittimità e controllo economico sulle comunità locali, oltre che risorse da utilizzare per finanziare le sue attività criminali, in linea con l’intuizione del giudice Falcone di seguire i soldi per trovare la mafia”.
L’autore: “Studio sull’edilizia è solo l’inizio”
“I risultati dello studio – conclude Ferrante -, sono in realtà ancora più significativi perché tramite i rapporti tra gli indici è possibile valutare impatti territoriali della presenza mafiosa a più livelli. Ad esempio, e sarà oggetto di un prossimo studio, sulle elezioni amministrative”.