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Medici, in Italia è fuga dal pubblico. Dati in linea con l’Ue, manca organizzazione

Secondo i dati dell'Organizzazione mondiale della Sanità, i numeri dei medici in Italia sono in linea con quelli dell'Ue. Il problema sarebbe la fuga dei medici dal pubblico, per via dei rischi e delle scarse prospettive di carriera, e la loro organizzazione. Parlano i dirigenti della sanità

In Italia, e soprattutto in Sicilia, la carenza di medici sarebbe un falso problema, visto che i dati sono in linea con quelli dell’Ue, Unione europea. Il nodo da sciogliere riguarderebbe soprattutto la costante fuga dei medici dal pubblico, e la loro organizzazione sul territorio. Il concetto arriva da un esperto nel campo sanitario, l’ex direttore generale Paolo Cantaro, un passato di manager in moltissime Aziende sanitarie siciliane, da quella di Caltanissetta sino all’Ospedale Vittorio Emanuele, il Cannizzaro e il Policlinico di Catania. Cantaro fa riferimento, per avvalorare il suo pensiero, a una tabella dell’Organizzazione mondiale della Sanità, pubblicata nel 2022, recepita recentemente dalla Ue. Dalla tabella emerge che il numero di medici che lavorano in Italia è perfettamente in linea alla media europea di 4 sanitari per ogni mille abitanti. Partendo da questo dato, come detto, il problema in Italia non riguarda la carenza di medici, ma la loro organizzazione sul territorio e soprattutto la loro fuga dal pubblico.

Medici, in Italia problemi organizzativi

Tra gli esempi più lampanti della cronica carenza di medici nei Pronto soccorso o in Anestesia, il caso dell’ospedale di Militello. Su otto dottori previsti in organico non ce n’é neanche uno. Una delle cause è la fuga da reparti di emergenza, per andare a lavorare in settori definiti più tranquilli e più remunerati. Racconta un primario catanese di un reparto sensibile: “In pochi mesi ho perso tre medici promettenti che si sono dimessi per andare a fare il corso per medico di famiglia. Mi hanno detto che i ritmi del reparto non li reggevano più”. Ma a questo punto che fare? “I nodi sono moltissimi, ma in primis bisognerebbe cambiare registro”, spiega l’ex dg Cantaro. “Non ha senso, come si propone, abolire il numero chiuso nelle facoltà. Perché questo significherebbe avere magari più medici, ma certamente meno formati per via delle carenze strutturali della nostra Università”.

Programmazione “carente se non inesistente”

“Ci rendiamo conto cosa significherebbe mettere in un’aula formativa duecento specializzandi?”, aggiunge Cantaro. “Oggi la formazione si svolge all’80 per cento con lezioni frontali mentre come è noto occorrerebbe che frequentassero cliniche e strutture ospedaliere. Iniziando a tenere il bisturi in mano per acquisire la necessaria manualità. Il problema vero è quello che non mancano medici in assoluto, ma in particolare in alcune specialità, come l’anestesia e la medicina di urgenza. Ciò a causa di una carente se non inesistente programmazione, che al contrario deve esercitare un insostituibile ruolo di indirizzo definendo settori carenti e inserendo la pratica clinica. In questo modo una programmazione, finalizzata ad obiettivi e qualità, può fare dello specializzando una risorsa per il sistema sanitario. Consentendone come in altri paesi il reclutamento anche prima dell’acquisizione del titolo di specialità”.

Il problema delle zone disagiate

“Diverso”, aggiunge l’ex direttore generale, “è il problema delle zone carenti e disagiate (isole minori, comunità montane) dove i giovani professionisti rifiutano l’inserimento lavorativo ritenendolo non stimolante sotto il profilo professionale. Occorre, quindi, studiare meccanismi anche incentivanti come ve ne sono in altre categorie del pubblico impiego. Va aggiunto che attività particolarmente logoranti (Pronto soccorsi, trapianti) possano diventare attrattive con iniziative di promozione culturale. È di evidenza palmare che nei PS le direzioni generali a tutela di una attività di prima linea debbano schierare sempre le migliori professionalità presenti nella struttura e non solo giovani in attesa di trasferimento. Ma anche con iniziative di rivisitazione delle griglie stipendiali.”

“Sospendere la Madia e richiamare i pensionati”

Un’altra possibile ricetta in presenza di emergenze arriva da un ex primario di Anestesia al “Garibaldi” di Catania, Sergio Pintaudi. Oggi consulente dell’Asl 5 di Roma, impegnato attraverso un contratto di prestazione d’opera grazie alla Legge 27/2020 per fronteggiare l’emergenza Covid. Pintaudi spinge perché le professionalità in pensione vengano all’occorrenza richiamate in servizio. “È inconcepibile. In questa nazione si manda in pensione gente che vorrebbe continuare a lavorare e si trattiene in servizio gente che vorrebbe andare in pensione. Vista l’enorme carenza di medici che durerà ancora per parecchi anni, basterebbe sospendere gli effetti della Legge Madia e contrattualizzare i medici già pensionati come liberi professionisti”.

Recuperare professionalità (e anche le tasse)

“L’effetto immediato sarebbe il recupero di tante professionalità messe in disparte”, conclude Pintaudi. “Nonché il recupero di risorse economiche, perché questi medici pagherebbero le tasse. Tra l’altro, quali liberi professionisti, non avrebbero diritto né a ferie né a riconoscimento di periodi di malattia (pagate). Ma dico, occorre un’intelligenza illuminata per capirlo?”.

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Giuseppe Bonaccorsi
Giuseppe Bonaccorsi
Giornalista professionista con un passato di redattore esperto per molti decenni al quotidiano "La Siclia". Ha collaborato attivamente con diverse testate regionali e nazionali e per anni con l'agenzia stampa "Quotidiani associati". Attualmente collaboratore di diverse testate giornalistiche nazionali e regionali e in particolare de "Il dubbio", il "Fatto quotidiano" e "Domani".

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