L’emergenza Covid-19 non è ancora conclusa, ma se non si comincia subito a pensare alla ripartenza, il dopo sarà anche peggio. Ne è convinto Giovanni Leonardo Damigella, industriale alla guida di Mondial Granit, azienda per la lavorazione del marmo. La sua non è una voce singola: è portavoce di una ventina di industriali del ragusano che, oltre ogni logica associazionistica, hanno deciso di inviare una missiva al presidente della Regione Musumeci. Chiedono misure economiche urgenti. “Se non c’è una iniezione di denaro per tutto il sistema, la Sicilia rischia seriamente di sprofondare nel Medioevo assoluto, con pericolo di rivolte popolari”, dice Damigella. Per questo serve, in primis, un fondo di garanzia.
Un fondo di garanzia regionale
La misura più urgente da attivare è “un fondo di garanzia”. La Regione siciliana, in pratica, dovrebbe fare da garante a partite iva e imprenditori, grandi e piccoli. “Al pari di quanto già avviene con la Cassa depositi e prestiti, con il fondo Sace o il Mediocredito centrale”. Con questa garanzia le banche potrebbero prestare dei soldi alle imprese a tasso agevolato “e dare quella liquidità necessaria per ripartire. Liquidità che al momento hanno in pochi perché i pagamenti dei clienti sono bloccati”. Secondo Damigella, aiutando le aziende si aiutano anche i cittadini: “non verrebbero licenziati o cassa integrati ma tornerebbero a fare parte del sistema produttivo”. Un modo per attenuare la crisi sociale che sempre più sta attanagliando le famiglie siciliane. Costrette a casa, non tutte infatti hanno risorse a sufficienza. “Se affondano le imprese affonda tutto il sistema, welfare compreso, e non c’è più niente per nessuno”, ribadisce l’imprenditore. “Dopo la guerra al coronavirus ci sarà un dopoguerra che farà più morti del Covid-19, se non si interverrà tempestivamente”.
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Nessun favore alle banche
L’operazione non rappresenterebbe un favore alla banche “che comunque sono imprese anch’esse”. I tassi d’interesse in questi casi “vanno dallo 0,30 allo 0,70”. “Non sono tassi usurai”, anzi sono “irrisori” e “non influenti”. Se però la Regione attiva il fondo di garanzia, la conseguenza sarebbe l’avvio di risorse bancarie “fondamentali per la ripartenza”. Le risorse che la banca metterebbe in circolo, spiega Damigella, non sarebbero limitate al totale del fondo stesso. Una volta avviato il sistema, per cui serve abbattere ogni tipo di burocrazia, “bisogna dare il tempo alle aziende di incassare e di farle rientrare tutte”.
Stop a formazione e sagre patrocinate
Perché l’idea del fondo funzioni serve però denaro. E parecchio. Per Damigella non ci sono dubbi: va racimolato tutto ciò che possibile. “Si possono mettere in campo una valanga di soldi”. L’imprenditore parla dei finanziamenti a sagre e piccoli eventi patrocinati, ma anche ai corsi di formazione regionali. “Spese inutili”, dice, “che servono solo a creare consenso che poi si trasforma in voti”. I corsi di formazione poi, non solo sarebbero “inutili”, ma anche gestiti “da un’accozzaglia di truffatori che hanno rubato migliaia di miliardi con corsi falsi o che non hanno prodotto nessun risultato: 40 o 120 ore di formazione in un’aula non servono a nulla”, ribadisce. La vera formazione, per l’industriale, è quella fatta direttamente in azienda “a basso costo e con buone probabilità di rimanere poi in essere”. “Noi, ad esempio, abbiamo dieci tirocinanti, anche se adesso sono fermi a causa dello stop. Imparano il mestiere accanto agli operai specializzati, ma ci vogliono dai sei mesi a un anno per specializzarsi”.
Taglio alle pensioni d’oro
Anche il taglio alle “pensioni d’oro” dei dipendenti regionali potrebbe rappresentare un modo per rimpinguare il fondo di garanzia. La logica alla base è che chi più può più deve contribuire. Il principio è semplice: “bisogna fare come hanno fatto a me, togliendo in percentuale cento euro sulla mia pensione per finanziare Quota 100”. La situazione che stiamo vivendo è di certo emergenziale, ecco perché il governatore Musumeci dovrebbe intervenire anche sulle cosiddette pensioni d’oro. “È lecito perché si tratta di un contributo. Non ti tolgo la pensione. Anche se quelle cifre non avrebbero mai dovuto darle. Non è accettabile, mentre c’è gente fa la fame e si rischiano le sommosse popolari, che ci siano pensionati regionali che prendono 90 mila euro al mese”.