Con il nuovo anno riprende la “guerra” delle impugnative tra il Governo nazionale e la Regione siciliana. A essere coinvolti, stavolta, circa 450 lavoratori regionali del settore dei beni culturali, che rischiano di non ricevere circa un milione di euro di retribuzione aggiuntiva per il lavoro svolto negli ultimi due anni durante i festivi. Il Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2022, infatti, ha impugnato la legge 29/2021 della Regione siciliana, che stanziava le risorse per i regionali. “Questi lavoratori hanno diritto a quanto dovuto, avendo lavorato oltre il terzo dei festivi previsto dalla legge”, dice a FocuSicilia Michele D’Amico, responsabile del settore per il sindacato Cobas/Codir. Una necessità che è anche “della stessa Regione siciliana”, in quanto il lavoro dei regionali in questi anni “ha permesso di aumentare le presenze e gli incassi nei siti regionali”. Un modello “virtuoso”, che però ha dovuto fare i conti con la burocrazia regionale e nazionale. “Prima ha sbagliato l’ufficio di Bilancio, bloccando risorse pienamente legittime. Quando la Regione ha rimediato con un’apposita legge, è arrivata la scure del governo nazionale”, riassume il sindacalista.
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Il dettaglio dell’impugnativa
Nel dettaglio, la contestazione di Palazzo Chigi riguarda la somma di 1.061.600 euro, stanziata dalla Regione all’articolo 14 del decreto 29/2021 “per il trattamento accessorio del personale a tempo indeterminato utilizzato per interventi di sicurezza e di vigilanza nei luoghi della cultura”. Un intento che, secondo Roma, viola “i limiti di spesa fissati dal Decreto legislativo 75/2017“, con cui fu completata la riforma della Pubblica amministrazione Madia, ma anche “l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, in materia di coordinamento della finanza pubblica” nonché “l’articolo 119 della Costituzione, in materia di equilibrio dei bilanci delle Regioni”. Per tutti questi motivi, e per aver eccedduto le competenze dello Statuto speciale, il Governo Draghi ha deciso di trascinare la Regione, per l’ennesima volta, di fronte alla Corte costituzionale. “Fondamentalmente, quella somma è stata considerata come un debito fuori bilancio”, chiarisce D’Amico. “In realtà, si tratta di una cifra dovuta che sarebbe stata conferita ‘automaticamente’, se la Regione stessa non si fosse complicata la vita con un dubbio interpretativo”.
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I primi accordi sindacali
La vicenda, spiega D’Amico, affonda le radici diversi anni addietro, precisamente nel 2014. In quell’anno, infatti, “furono sottoscritti i primi accordi sindacali con l’allora assessore ai Beni Culturali Antonio Purpura, per consentire alla Regione di tenere aperti i musei impegnando i lavoratori oltre il terzo dei festivi”. Il contratto collettivo nazionale del pubblico impiego, che si applica ai lavoratori regionali, “prevede infatti che essi non possano lavorare oltre un terzo delle 52 domeniche e delle 13 festività nazionali previste in Italia”. Per ovviare a eventuali carenze di personale, dice ancora D’Amico, l’articolo 94 del contratto prevedeva la possibilità di un’accordo ad hoc tra ente e sindacati, “per permettere ai lavoratori di superare un terzo dei festivi mantenendo attive le strutture, ovviamente con relativa retribuzione”. Una possibilità che la Regione sfruttò sin dal governo Crocetta, “considerando che negli anni i pensionamenti hanno visto diminuire il personale regionale di circa quattromila unità, di cui seicento nel settore dei beni culturali”. Accordi che il sindacato valuta “molto positivamente, soprattutto alla luce dei risultati dei musei regionali”.

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La svolta dell’assessore Tusa
Dati alla mano, i visitatori nel 2010 erano poco meno di 3,5 milioni, per un incasso di circa 13 milioni di euro. Nel 2014, anno dei primi accordi sindacali, erano saliti a quattro milioni, per un incasso di 19 milioni di euro. Nel 2017 i siti regionali sfioravano ormai i cinque milioni di visitatori, con un incasso lievitato a 26 milioni di euro. Un miglioramento che sarebbe una “conseguenza logica” degli accordi sindacali, spiega D’Amico, “visto che tenendo aperti i musei nei giorni festivi si moltiplicano le occasioni di fruizione da parte di turisti e visitatori”. Con il rinnovo contrattuale 2016/2018, però, le cose cambiano. “A causa di alcune modifiche normative, il famoso articolo 94 è venuto meno, togliendo alla Regione la possibilità di negoziare con i sindacati il superamento del terzo dei festivi”, spiega D’Amico. A metterci una pezza, con legge 8/2018, fu l’allora assessore ai Beni Culturali Sebastiano Tusa, tragicamente scomparso nel 2019. “Tusa ebbe l’idea di dirottare la quota di incassi dei musei regionali destinata ai Comuni di pertinenza sulle paghe dei lavoratori”. In altre parole, “più i musei incassano, maggiori sono le risorse da destinare ai dipendenti”.
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L’errore dell’Ufficio di bilancio
A confermare la bontà dell’operazione, prosegue D’Amico, l’ulteriore crescita dei numeri dei siti regionali negli anni successivi. “Nel 2019 è stato sfondato il tetto dei cinque milioni di visitatori, e l’incasso ha superato i 28 milioni di euro. In altre parole, le risorse reinvestite nel sistema dei Beni culturali generavano ricchezza”. Tutto bene quel che finisce bene? “No, perché in Sicilia siamo bravissimi a complicare le cose semplici”, sorride amaro il sindacalista. A causa di un dubbio interpretativo sulla legge, infatti, dal 2020 il meccanismo venne di fatto bloccato dall’ufficio di Bilancio della Regione siciliana. “Le risorse disponibili fino al giorno prima furono congelate. Uno stato di cose che, insieme al deflagrare della pandemia da Covid-19, ha dato un duro colpo ai musei siciliani”. La risposta dell’ufficio legislativo della Regione è arrivata nell’ottobre 2021, e ha dato torto al Bilancio. “Ecco perché il governo Musumeci è stato costretto a fare una norma apposita, mettendo una pezza all’errore e liberando le risorse dovute ai lavoratori”, dice D’Amico. La famosa legge 29/2021, bocciata alcuni giorni fa dal Governo Draghi.
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Il mistero dell’impugnativa scomparsa
Proprio l’impugnativa del 31 gennaio è stata per qualche giorno al centro di un piccolo “giallo”. Benché citata nel comunicato stampa del Consiglio dei Ministri, essa non risultava pubblicata sulla banca dati del Dipartimento per gli affari regionali e le Autonomie. Ad essere presente nel database soltanto la legge 31/2021, relativa al “Rinvio delle elezioni degli organi degli enti di area vasta”, ovvero le ex province, che il Governo ha deciso di non impugnare essendo conseguenza della “bocciatura” della legge Delrio da parte della Corte costituzionale. La legge 29 – la 14esima impugnata su 26 norme regionali del 2021 esaminate dal Governo, una percentuale record del 52 per cento – è “comparsa” soltanto il sette febbraio. “Cobas/Codir è pronto a intraprendere ogni iniziativa a sostegno dei dipendenti, che hanno lavorato e hanno diritto alle loro spettanze”, conclude D’Amico.