Prendete calendario, calcolatrice e portafogli: anche questo novembre c’è da pagare (tanto). Tra le ritenute dei dipendenti, degli autonomi e dei collaboratori, gli acconti Iva, Ires, Irpef e Irap, le addizionali comunali e regionali Irpef, entro la fine del mese gli italiani verseranno all’erario 55 miliardi di euro. Lo afferma l’ufficio studi della Cgia. Ecco quali sono le imposte che pesano di più e quali sono le scadenze da rispettare.
Cosa c’è da pagare
L’imposta più salata che le imprese e i lavoratori autonomi verseranno questo mese sarà l’Iva: vale un gettito di 15 miliardi. Segue l’acconto Ires in capo alle società di capitali: anticiperanno al fisco 13,3 miliardi di euro. I collaboratori e i lavoratori dipendenti, attraverso i rispettivi datori di lavoro, verseranno le ritenute per un importo pari a 11,9 miliardi di euro. L’acconto Irpef, invece, costerà alle aziende e ai percettori di redditi diversi (fitti, plusvalenze, lavoro occasionale) 6,2 miliardi di euro, mentre l’Irap implicherà un prelievo di 6,1 miliardi. L’addizionale regionale Irpef garantirà ai governatori 1 miliardo, mentre le ritenute dei lavoratori autonomi costeranno 950 milioni di euro. Le addizionali comunali Irpef, infine, permetteranno ai sindaci di incassare 413 milioni di euro e dalle ritenute dei bonifici delle detrazioni Irpef l’erario incamererà 190 milioni di euro.
Le scadenze di novembre
Tre le date da segnare sul calendario. La prima è sabato 16, che slitta al primo giorno utile, il 18 novembre. La seconda è lunedì 25. La terza, infine, il 30 novembre. Un altro sabato che fa slittare la scadenza al 2 dicembre.

Pressione in Italia 59 per cento
L’Italia si conferma uno dei Paesi dove la pressione fiscale è più elevata. Secondo i dati presentati dalla Banca Mondiale nel rapporto “Doing Business, solo la Francia (60,7 per cento) presenta un carico sulle imprese superiore al dato Italia (59,1 per cento). La media dell’area euro è 16,3 punti percentuali più in basse. In Germania è al 48,8 per cento e in Spagna al 47 per cento. Il dato è parziale, perché l’elaborazione fa riferimento ad una media impresa con circa 60 addetti e alle imposte pagate nell’anno 2018. La pressione italiana è inferiore al livello del 2015 (quando aveva toccato il 62 per cento), ma in risalita rispetto al 2016 e la 2017, quando l’incidenza è stata del 48 e del 53,1 per cento. La risalita – ricorda la Cgia – si spiega con la scadenza di alcune “misure temporanee che hanno alleggerito il costo del lavoro, in particolar modo dei neoassunti con un contratto di lavoro a tempo indeterminato”.
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Il freno della burocrazia
In Italia l’elevato carico fiscale si combina con un sistema di pagamenti complicato. Secondo la Banca Mondiale, solo in Portogallo è più complicato pagare le tasse. In Italia sono necessari 30 giorni all’anno, cioè 238 ore. Tanto serve per raccogliere le informazioni necessarie per calcolare le imposte dovute, completare le dichiarazioni dei redditi e per presentarle, per effettuare il pagamento online o agli sportelli. Per far capire quanto pesi la burocrazia basta fare un esempio: in Francia, l’unico Paese Ue con un carico fiscale sulle imprese superiore, bastano 17 giorni per completare le incombenze fiscali. La medie dell’area euro è di 18 giorni. Oltre al fisco salato, quindi, si fa sentire, spiega la Cgia, “la moltitudine di leggi, decreti, regolamenti e circolari esplicative presenti nel nostro ordinamento tributario”, che “complicano la vita non solo agli addetti ai lavori, ma anche agli operatori del fisco”