Nati dieci anni fa “per amore della cultura di Catania e soprattutto di un luogo, il Monastero dei Benedettini”, Officine culturali ha iniziato come associazione per effettuare le visite guidate nel bene Unesco. E oggi, pur mantenendo un legame inscindibile con la sede del dipartimento di Scienze umane dell’università di Catania, è diventata una impresa sociale con dieci dipendenti a tempo indeterminato, parte di Federculture e della Compagnia delle opere (Cdo) Sicilia. E, come spiega il presidente Francesco – Ciccio – Mannino, si occupa di progettazione, di divulgazione e di fruizione del patrimonio artistico e storico non solo di Catania. “Abbiamo già in cantiere un progetto nell’ex carcere mandamentale di Vizzini, finanziato dalla Fondazione con il Sud, e una sfida: aprire al pubblico nel 2020 un nuovo sito, il rifugio antiaereo di via Daniele, nel quartiere Antico Corso a Catania”, spiega Mannino. “Stiamo lavorando a questo progetto dal 2014, insieme al Centro speleologico etneo e al Comitato popolare Antico corso formato da residenti del quartiere”. Il rifugio si estende sotto la lava dell’eruzione del 1669 dell’Etna per centinaia di metri, fino al liceo Spedalieri. Una sfida che non spaventa Mannino e gli altri membri di questa avventura. “Siamo consapevoli che l’Eldorado per il sistema dei beni culturali non esiste”. Per la cultura, insomma, bisogna lavorare duro. Anche se richiede “tonnellate di terra da rimuovere”.
Leggi anche – Officine culturali, innovatori siciliani selezionati da San Paolo
L’esperienza nella Compagnia delle opere
Fatica e impegno, con un obiettivo: “Fare cultura. Che è quello a cui servono i musei, le biblioteche e i luoghi come questo, che non sono soggetti economici. Ma quello che sappiamo – prosegue Mannino – è che con la cultura ‘si può mangiare’. Ed è questo il motivo per il quale siamo entrati in alcune associazioni di imprese: Federculture, di cui adottiamo il contratto collettivo, e da qualche mese di Cdo Sicilia”, racconta. La presenza dell’impresa sociale all’interno di Cdo “è stata fortemente voluta dal presidente Salvatore Contrafatto, che avendoci conosciuti a una conferenza pubblica ha ritenuto interessante il nostro contributo all’economia sociale di questo territorio. E oggi sono all’interno del direttivo di Cdo Sicilia”, racconta Mannino. Una esperienza nella quale “ho incontrato imprenditori e imprenditrici che si mettono in gioco e aperti alle sfide, con cui ci confrontiamo sull’economia di questo territorio”. Un’economia difficile quella siciliana, soprattutto nel settore della cultura “ma il confronto è un’ottima, anzi straordinaria occasione di scambio di esperienze”.
La scelta di diventare impresa sociale
Nel 2018 Officine culturali ha cambiato il proprio statuto, abbracciando le novità introdotte dalla riforma del Terzo settore e divenendo una delle prime imprese sociali di Catania. “Una scelta sulla quale abbiamo creduto, che ci ha portato a impostare in maniera più in linea con quanto siamo oggi il nostro statuto, dando spazio ai lavoratori nelle decisioni dell’impresa e al volontariato, presente nelle nostre attività anche se in maniera non prevalente”. La novità più importante, ovvero i vantaggi di natura fiscale, tarda però ad arrivare. “Ci sono dei ritardi di anni nell’emanazione dei decreti attuativi della riforma del Terzo settore, che purtroppo, nonostante noi restiamo una impresa non profit, ci portano a dover gestire fiscalmente tutto come se lo fossimo. Nonostante questo – afferma Mannino -, continuiamo a pensare che la riforma sia uno straordinario strumento per il Terzo settore per poter essere utile al contesto sociale in cui si trova”.
Via Daniele: “La lava, la cava e la guerra”
Nonostante le difficoltà normative, Officine culturali ha deciso di investire le proprie risorse nel progetto del sito di via Daniele, ritrovato due decenni fa dallo speleologo urbano Franco Politano del Cse. “Abbiamo una concessione onerosa decennale del demanio su questo sito, che crediamo sia importante per tre ragioni nella storia di Catania. Il primo è la lava dell’eruzione del 1669 sotto cui ci troviamo, e che ha dato forma a gran parte della zona. La cava, perché questa orginariamente era una cava di ghiara, la sabbia rosa scavata dai ‘Rosso Malpelo’ e che si può vedere in gran parte delle costruzioni di Catania alternata alla pietra nera dell’Etna. E infine la guerra, perché nel 1938 questa cava ormai in disuso fu riconvertita in rifugio antiaereo, che venne utilizzato nel corso della seconda guerra mondiale”, conclude Mannino. Un valore storico ben sintetizzato dalle parole di Elvira Tomarchio del Comitato popolare Antico corso: “Qui si racconta l’orrore della guerra e la paura di non poter più uscire fuori a rivedere la luce. Questo luogo rappresenta la memoria dei nostri nonni che preservavano la vita nel rifugio”.