Al momento si tratta ancora di bozze, ma la strategia del governo Meloni sulle pensioni nella manovra 2024 sembra ormai definita, e per i sindacati comporta forti tagli. Da una parte, il mantenimento di “quota 103”, cioè della possibilità di andare in pensione con 62 anni di età e 41 di contributi, rispetto ai 67 anni normalmente previsti, seppur con delle riduzioni dell’assegno mensile. Dall’altra, la revisione al ribasso delle aliquote di rendimento – per alcune categorie tra cui dipendenti degli enti locali, sanitari e insegnanti – attraverso le quali vengono calcolate le pensioni. Proprio questo punto ha sollevato aspre reazioni. “Nemmeno la riforma Fornero era arrivata a tanto”, denuncia a FocuSicilia Francesco Lucchesi, dirigente di Cgil Sicilia. “Le categorie su cui si abbattono i tagli, che possono arrivare anche a 90 mila euro calcolando l’aspettativa di vita, costituiscono gran parte del pubblico impiego siciliano“. Le pensioni non sono l’unica nota negativa della finanziaria. Lucchesi cita anche “l’assenza di fondi in manovra per il Mezzogiorno” e l’effetto della Zona economica speciale unica, “che di fatto accentrerà i poteri a Roma aumentando le spese per chi voglia aprire un’attività”.
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Cosa prevede la legge di bilancio
Il testo della manovra arriverà in Aula nelle prossime ore. Gli spazi per mediare non sembrano molti. Per il Governo, infatti, la Legge di bilancio è “improntata alla serietà e alla solidità dei conti pubblici”, e l’intento è quello di “procedere speditamente all’approvazione, senza pertanto presentare emendamenti da parte della maggioranza”. Opposta, come detto, la posizione della Cgil. “L’esecutivo con la prossima legge di bilancio riuscirà a peggiorare la Legge Monti-Fornero. Sottraendo dalle tasche dei dipendenti pubblici, futuri pensionati, migliaia di euro”, spiegano dal sindacato. Sul banco degli imputati c’è l’articolo 33 della Manovra. Esso prevede una revisione delle aliquote pensionistiche per diverse categorie di lavoratori, “gli iscritti alla Cassa per le pensioni ai dipendenti degli Enti locali (Cpdel), alla Cassa per le pensioni dei sanitari (Cps) e alla Cassa per le pensioni agli insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate (Cpi) e alla cassa per le pensioni agli ufficiali giudiziari, agli aiutanti ufficiali giudiziari ed ai coadiutori (Cpug)”.
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Gli effetti del taglio secondo Cgil
Il centro studi del sindacato fornisce alcune stime sui tagli, sulla base di tre fasce di reddito e considerando un’aspettativa di vita di 16 anni. “Per una pensione di vecchiaia nel 2024, con 35 anni di contribuzione e 67 anni di età ed una retribuzione di 30 mila euro annui lordi, si può raggiungere un taglio di 4.432 euro all’anno, che se proiettato fino all’attesa di vita media raggiunge un mancato guadagno pari a 70.912 euro”, si legge nel documento. I tagli si fanno più consistenti con l’aumentare del reddito. “Con una retribuzione lorda di 40 mila euro, il taglio potrebbe raggiungere 5.910 euro all’anno, che se proiettato fino all’attesa di vita media si arriverebbe ad un taglio complessivo pari a 94.560 euro”. Ancora più alto il taglio previsto nel caso di una retribuzione di 50 mila euro. In questo caso la decurtazione annua “peserebbe per 7.387 euro, con un taglio complessivo calcolato sull’attesa di vita media pari a 118.192 euro”. In conclusione per Cgil si prospettano “tagli pesantissimi”, tanto da giustificare “una mobilitazione nazionale il prossimo 17 novembre”.
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La situazione per la Sicilia
Manifestazione a cui aderirà anche Cgil Sicilia, conferma Lucchesi. “Da parte del Governo c’è chiaramente la volontà di fare cassa sui più deboli. Come avvenuto nella scorsa legge di bilancio, quando i mancati introiti generati dalla Flat tax, dal peso di 3,5 miliardi, sono stati coperti con tagli al welfare“, spiega il dirigente. Oltre ai tagli per le pensioni di dipendenti degli enti locali, sanitari e insegnanti, prosegue, la manovra contiene altre notizie negative. “Non c’è un centesimo per le cosiddette pensioni di garanzia, che dovrebbero fare da paracadute per le giovani generazioni che lavorano saltuariamente e con retribuzioni molto basse. E, di conseguenza, rischiano di avere pensioni da fame”. Strettamente connesso, conclude Lucchesi, il tema del taglio dell’Ape sociale. “Si tratta della misura attraverso cui potevano accedere all’anticipo pensionistico coloro che svolgevano lavori usuranti o discontinui. L’ultima versione della bozza che abbiamo esaminato prevedeva un taglio. Speriamo che possa essere ripristinata”.