“Nein! Gli anti-europei del nord bloccano gli eurobond!” (Huffington Post), “Le due Europe contrapposte alla resa dei conti” (La Stampa), “Coronavirus, Europa spaccata su Mes ed Eurobond” (Open). Ancora, il corrispondente di Repubblica a Bruxelles riferisce di “antiche divisioni” tra Nord e Sud Europa che riemergono in occasione dei cosiddetti Coronabond. Il Fatto Quotidiano e il Giornale parlano rispettivamente di “frattura” e “spaccature” tra i due gruppi di Paesi. Perfino Mario Monti, in un editoriale per il Corriere della Sera, sceglie il frame dello scontro geografico per illustrare la disputa sugli Eurobond: “L’Europa è spaccata, Nord contro Sud, come nella crisi finanziaria del 2012”. Parole sue.
Oltralpe cambia la lingua ma non il linguaggio e forse l’esempio migliore lo offre Foreign Policy, autorevole rivista specializzata sugli affari internazionali. L’articolo, il cui titolo è “Lotta contro la pandemia, l’Europa si divide di nuovo in Nord e Sud” è accompagnato da un’immagine della finale di Coppa del mondo 2010 di calcio tra Spagna e Olanda. La metafora calcistica mira alla semplificazione essenziale dello scontro. La sfida è binaria e coinvolge due modi antitetici di essere: da una parte i solidali ma inefficaci meridionali, dall’altra gli organizzati ma rigidi settentrionali. Non c’è sintesi possibile e un solo vincitore può emergere dallo scontro: come in guerra o, più banalmente, in una finale della coppa del mondo.
Provo a spiegarlo con parole semplici: raccontare l’Europa e la crisi di oggi come uno scontro tra Nord e Sud è sbagliato e pericoloso. È in primo luogo sbagliato perché girando sul web si raccolgono infinite testimonianze del contrario. Le troviamo in un accorato editoriale di Der Spiegel, settimanale tedesco di primo piano, che ha raccomandato alla cancelliera Merkel di abbandonare il No agli Eurobond. Nei Paesi Bassi, l’opposizione ha pesantemente contestato l’operato del Ministro delle Finanze. Lo stesso è accaduto in Danimarca e Austria, i cui governi hanno respinto la cosiddetta proposta dei nove Paesi (che a rigor del vero non sono neanche tutti ‘meridionali’!).
Raccontare il dibattito europeo in termini geografici è inoltre pericoloso perché lo si essenzializza, trasformandolo in uno scontro tra due mondi che non si parlano, tra marito e moglie finiti per errore nello stesso letto nuziale e incapaci di instaurare un dialogo perfino nel corso della peggiore crisi sanitaria ed economica dell’epoca recente. La dialettica Nord vs Sud nega il fatto – ormai appurato – che pezzi della società civile in Olanda e in Italia possano trovare un linguaggio e una proposta comune. E oscura una realtà ancora più importante: che persino all’interno di Paesi che noi rappresentiamo in maniera univoca un dibattito feroce sulle scelte dei governi sta avendo luogo.
Non contesto la necessità di semplificare, intendiamoci bene. Alla stampa non chiedo il rigore accademico e la peer review e comprendo la necessità di voler ricondurre le linee essenziali di un dibattito a poche posizioni in campo. Lo si faccia, allora, ma eliminando il binarismo nord/sud e proponendo invece un’analisi dello spettro politico che tenga conto non di due ma almeno di tre forze in campo.
La prima è la forza che spesso rappresentiamo come “nord”, e che potremmo definire come “Europa economica”. Quello che i governi di questi Paesi (e non la totalità dei paesi stessi) propongono è una visione inter-governativa dell’Ue: i suoi Stati membri conservano la sovranità e ogni forma di solidarietà va condotta nel rispetto di questa logica. Dominano l’Europa di mercato come principio e il Consiglio europeo come arena di dialogo. Possiamo certamente discutere sulla strumentalità di questa posizione ma è un punto di vista che va tenuto in considerazione, trattandosi di una visione fondamentale in Europa.
La seconda forza in campo è quella di cui sentiamo parlare come “Sud”, e che potremmo definire come “Europa sociale”. La soluzione proposta è rigorosamente sovranazionale: in circostanze straordinarie (e non solo secondo alcuni), l’Europa dovrebbe essere più di un mercato e far fronte al benessere (leggasi welfare) dei suoi cittadini attraverso soluzioni comuni. Anche qui, la strumentalità della posizione è oggetto di discussione: potremmo per esempio affermare che chi prova a rappresentarsi come solidale – pensiamo alla Grecia – poca solidarietà ha mostrato in occasioni passate, a cominciare dalla recentissima crisi migratoria.
Infine, c’è la terza forza in campo ormai scomparsa dai radar dell’emergenza, ed è quella che di Europa proprio non vuole sentirne parlare. La rappresentano bene alcuni governi (la Polonia e l’Ungheria) e anche alcune opposizioni nei Paesi occidentali. Pensiamo al voto contrario agli Eurobond della Lega al Parlamento europeo. Salvini lo ha espresso senza mezzi termini: “Noi mai favorevoli agli eurobond”. Questa terza forza in campo respinge con forza ogni soluzione sovranazionale, ed opera in favore di ‘meno Europa’.
Quello sugli Eurobond e sulla risposta europea al Covid-19 è un dibattito necessario. Richiede una stampa all’altezza e un vocabolario appropriato per raccontarlo. Le categorie Nord e Sud non devono esserne parte.