In Italia le Pmi sono in crescita – proseguendo la ripresa post-pandemica e raggiungendo nuovi massimi dal 2007 – ma la Sicilia arranca. Quasi una Piccola e media impresa su due ha la cattiva abitudine di non saldare i pagamenti e il fatturato delle imprese siciliane, nel 2022, è cresciuto solo dell’1,7 per cento rispetto all’anno precedente. Questi i dati che emergono dal Rapporto Regionale Pmi 2023, curato dall’area “Affari Legislativi, Regionali e Diritto di Impresa” di Confindustria e Cerved. I numeri mettono in luce come le conseguenze della pandemia, della guerra tra Russia e Ucraina e dell’inflazione galoppante impattino ancora oggi sulle Pmi italiane, in particolare quelle del Sud. All’orizzonte, la possibilità che la forbice tra Settentrione e Meridione si allarghi si fa sempre più concreta. Tra le note positive: l’anno scorso il fatturato delle Pmi italiane è cresciuto del 2,4 per cento (più 9,1 rispetto al 2019 e più 9,7 per cento rispetto al 2007).
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Stabile il costo del lavoro nel Belpaese
Se da un lato l’economia in Italia aumenta, dall’altro, il costo del lavoro delle Pmi, vale a dire le spese sostenute da ogni impresa per pagare i propri dipendenti, è rimasto quasi invariato: +0,7 per cento rispetto al 2021 e +3,8 per cento rispetto al 2019. Al Centro e dal Nord-Ovest sono le macro-aree dove si è registrata la crescita maggiore rispetto al 2021: +0,7 per cento per entrambe. Il Nord-Est e il Mezzogiorno hanno segnato +0,4 per cento. La Sicilia è la regione del Sud in il costo del lavoro è cresciuto meno: +0,1 per cento. Tra gli aumenti diffusi, spicca la Valle d’Aosta (+7,1 per cento). Le imprese della Sardegna, invece, sorridono: rispetto al 2019, il costo del lavoro è sceso dello 0,5 per cento.
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Pmi siciliane, record di mancati pagamenti
Cattive abitudini, sul fronte dei pagamenti: in Sicilia quasi una Pmi su due ha difficoltà. A dicembre 2022 i pagamenti non saldati erano il 45,6 per cento. Una dato che posiziona la regione al primo posto in Italia, seguita dal Molise (42,6 per cento) e dalla Sardegna (42,5 per cento). Allargando lo sguardo, nel Mezzogiorno i mancati pagamenti crescono più che in ogni altra area: +5,8 per cento nel 2022 rispetto all’anno precedente. Il Sud registra la percentuale più alta: 39,6 per cento a dicembre 2022. Il più alto di ogni zona, a fronte del 33,8 per cento del dicembre 2021. Al Centro sono il 32 per cento del dicembre dello scorso anno contro il 29 per cento del dicembre del 2021. Viceversa, le regioni che saldano la percentuale maggiore di fatture si trovano al Nord-Est: Trentino-Alto Adige (17,1 per cento di mancati pagamenti), Friuli-Venezia Giulia (21,1 per cento di mancati pagamenti) e Veneto (23,1 per cento di pagamenti non saldati).
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Imprese meno solide, Sud al primo posto
Il 2022 è stato un anno nero per un quarto di Pmi italiane: il 23,8 per cento si trova in territorio di pericolo (l’8,2 per cento sono rischiose e il 15,6 per cento sono vulnerabili). Una percentuale destinata a raggiungere il 26,9 per cento dal CGS (Cerved Group Score) foward-looking (con il 9 per cento rischiose e il 17,9 per cento vulnerabili). Il CGS esprime la valutazione del merito creditizio di un’impresa, ovvero della capacità di onorare gli impegni finanziari assunti, che si ottiene misurando la probabilità che l’impresa stessa registri un evento di default nei dodici mesi successivi alla valutazione. Anche qui il Mezzogiorno si piazza al primo posto della classifica delle zone con la più alta percentuale di imprese tra il vulnerabile e il rischioso: 33,4 per cento (di cui, il 10,3 rischiose e il 23,1 per cento vulnerabili). Segue il Centro, che è inoltre l’area con la percentuale più elevata di Pmi a rischio (29,5 per cento tra vulnerabili e rischiose, con 10,6 per cento rischiose e 18,9% vulnerabili).
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Come vanno le cose nel Nord
Situazione opposta per le piccole e medie imprese settentrionali, con una struttura economico-finanziaria più solida: al Nord- Ovest il 20,2 per cento sono o rischiose o vulnerabili, nel dettaglio il 7,3 per cento sono rischiose, il 12,9 per cento vulnerabili. Al Nord-Est la percentuale è la minore in Italia 16,7 per cento, di queste, il 5,9 per cento sono rischiose e il 10,8 per cento sono vulnerabili. Lazio (13,5 per cento), Calabria (12,1 per cento) e Sicilia (11,4 per cento) occupano i primi tre posti della classifica delle regioni italiane con la percentuale maggiore di Pmi rischiose. Le meno rischiose sono invece il Trentino-Alto Adige (3,6 per cento) e la Valle d’Aosta (5 per cento).