Furto di formazione: non è un reato, ma ‘solo’ la condizione degli studenti delle scuole del Sud e della Sicilia, depredati rispetto ai connazionali delle regioni del Nord, perché privati di mense scolastiche, palestre, tempo pieno, ore di apprendimento in più, possibilità di svolgere altre attività formative rimanendo a scuola e soprattutto di risorse finanziarie. La fotografia della situazione la scatta la Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno), con dati 2022 che si riferiscono all’anno scolastico 2020-2021. Svimez ha innanzitutto analizzato il trend di spesa generale per istruzione e formazione in Italia, secondo i dati dei Conti pubblici territoriali: tra il 2008 e il 2020 lo Stato ha speso per scuola e università il 14,3 per cento in meno. Sono mancati cioè circa otto miliardi di euro per questo comparto. Nel Mezzogiorno c’è stato un disinvestimento del 19,5 per cento e la Sicilia ha avuto risorse inferiori di quasi il 22 per cento, il che equivale in valore assoluto a 1,1 miliardi di euro in meno. Come togliere un quinto al sistema scolastico, ma in particolare al Sud, perché nelle regioni del Nord questa riduzione ha di poco superato l’11 per cento. L’unica regione che non ha il segno meno è la Valle d’Aosta, che per l’istruzione ha investito invece 21 milioni di euro in più.
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Istruzione, “due Paesi” nella stessa Italia
Così si cristallizza il divario Nord-Sud e si creano due Paesi. “Ancora più marcato il differenziale a svantaggio del Sud nel calo della spesa per investimenti, come le infrastrutture, calati di quasi un terzo contro ‘solo’ il 23 per cento nel resto del Paese”, scrive Svimez, che indica anche il rapporto tra spesa e studenti, “dal quale risulta uno scarto sfavorevole al Sud, dove la spesa per studente è di circa 100 euro annui inferiore rispetto al resto del Paese (5.080 euro per studente contro 5.185)”. Uno scarto ancora più vistoso se si considera il solo comparto della scuola, dove ogni studente si avvantaggia al Sud di 6.025 euro e al Centro-Nord di 6.395 euro. Lo scarto calcolato per studente è ancora più significativo, se non addirittura imbarazzante, se si guarda alla sola spesa per investimenti: 34,6 euro ciascuno al Sud contro 51 euro al Nord.

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Meno risorse per la scuola, meno studenti
Un altro dato importante: tra il 2015 e il 2020 il numero di studenti del Mezzogiorno (dalla materna alle superiori) si è ridotto di quasi 250 mila unità (-75.000 nel Centro-Nord). “L’indebolimento dell’azione pubblica nella filiera dell’istruzione incrocia causa la riduzione degli studenti – osserva Svimez – e i due fattori rischiano di autoalimentarsi in un circolo vizioso nazionale, ma particolarmente intenso al Sud. La debolezza dell’offerta scolastica e, più in generale, la limitata qualità dei servizi pubblici alimenta il processo di denatalità e i flussi di migrazione giovanile che, a loro volta, comprimono il numero di alunni, con il conseguente adeguamento al ribasso dell’offerta di istruzione”. Secondo il direttore della Svimze, Luca Bianchi, “per contrastare queste dinamiche occorre invertire il trend di spesa e rafforzare le finalità di coesione delle politiche pubbliche nazionali in tema di istruzione. Il Pnrr è l’occasione per colmare i divari infrastrutturali, tuttavia l’allocazione delle risorse deve essere resa più coerente con l’analisi dei fabbisogni di investimento”.

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Scuola autonoma: vantaggi per i territori ricchi
“La priorità oggi aggiunge Bianchi – è rafforzare il sistema di istruzione soprattutto nelle aree più marginali, sia del Sud che del Nord. Garantendo asili nido, tempo pieno, palestre, rafforzando l’offerta formativa dove più alto è il rischio di abbandono. Il quadro che emerge dai dati, e che rischia di rafforzarsi ancor più se passano le proposte di autonomia, è quello di adattare l’intensità dell’azione pubblica alla ricchezza dei territori, con maggiori investimenti e stipendi nelle aree che se li possono permettere, pregiudicando proprio la funzione principale della scuola che è quella di fare uguaglianza”. Anche su questo piano, l’offerta di infrastrutture sconta gravi ritardi soprattutto al Sud. In Sicilia l’88 per cento degli studenti non ha la mensa a scuola e di conseguenza solo il dieci per cento può restare per svolgere attività a tempo pieno. Siamo penultimi solo perché c’è il Molise dove solo otto studenti su cento hanno la mensa. Nel resto d’Italia – dove comunque la situazione non è certo da record – queste percentuali sfiorano comunque il 40 per cento e in diverse regioni si supera il 50 per cento.
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Non c’è la palestra: piccoli sedentari crescono
Non si può fare il tempo pieno a scuola perché non ci sono le mense, così come non si può fare sport perché mancano le palestre: in Sicilia 81 studenti su 100 non ha la possibilità di svolgere attività fisica. Sembrerà un dettaglio, ma condiziona gli stili di vita, la crescita sana dei ragazzi, la salute, la spesa sanitaria pubblica. Lo conferma Svimez: “Nel Meridione quasi un minore su tre nella fascia tra i sei e i 17 anni, infatti, è in sovrappeso, rispetto ad un ragazzo su cinque nel Centro-Nord. Nel Centro-Nord il 42 per cento della popolazione adulta pratica sport regolarmente e il 26,8 per cento saltuariamente. Nel Mezzogiorno invece le percentuali si invertono: la maggioranza pratica sport saltuariamente (33,2 per cento) mentre la minoranza lo pratica abitualmente (27,2 per cento). Il divario si riflette sulla percentuale di sedentari, con particolare riferimento per i minori: 15 per cento nel Centro Nord e 22 per cento nel Centro Sud. Ma ancor più allarmante è il dato sulle aspettative di vita: Nel Mezzogiorno sono inferiori di tre anni rispetto a quelle degli adulti centro-settentrionali”. E molti di questi fenomeni hanno radici proprio tra i banchi di scuola.