Un grande cartello in piazza San Giovanni. Nel luogo simbolo della Ragusa storica, davanti alla cattedrale barocca, a due passi dal municipio, dalla sede della Prefettura e da quella della Banca d’Italia. Poco più in là, a ridosso della vallata Santa Domenica, c’è il tribunale. C’è scritto: “Nessuno ci tutela”. Accanto allo striscione, in ordine sparso, alcuni ristoratori ragusani. Tutti muniti di tute monouso bianche, di mascherina con una croce rossa stampigliata. Simboleggia una protesta silenziosa, senza parole e senza proclami, perché in tempi di Covid-19 anche le libere manifestazioni di piazza, le proteste, i sit-in, sono sospesi. Dalla Questura avevano parlato chiaro: la manifestazione non è autorizzata.
“Così non riapriamo”
In piazza è arrivato il sindaco, Peppe Cassì. È a lui che si rivolgono i ristoratori ragusani, porgendogli una sedia e un mastello marrone per la raccolta differenziata dei rifiuti dove, simbolicamente, ciascuno ha deposto una chiave. È quella del suo ristorante, che rischia di non riaprire più. I costi sono troppo alti. I ristoratori chiedono garanzie allo Stato. “Così non apriamo”, è scritto in un altro piccolo cartello, in mano ad uno di loro. Per poter riavviare la loro azienda chiedono l’annullamento del pagamento dei tributi per tutto il 2020, un sostegno per affitti e utenze, che pesano come un macigno e sono costi da sostenere anche quando si è chiusi.
Cassì: in attesa di Stato e Regione
Il comune sostiene la battaglia dei ristoratori. Alcuni provvedimenti sono già stati avviati. “Abbiamo posticipato le scadenze dei tributi locali – spiega il sindaco Cassì – e dato garanzie a chi ha subìto la chiusura delle attività di non dover pagare. Sappiamo che stanno per essere varati dei provvedimenti di Stato e Regione a favore dei comuni per garantire loro delle risorse in cambio dei mancati introiti delle tasse. Appena conosceremo l’ammontare di queste somme potremo capire quale potrà essere la modalità del nostro intervento. Riteniamo di poterlo fare entro il 30 giugno, ovviamente agendo nel rispetto del quadro normativo dato dello Stato e dei protocolli di intervento che ci verranno consentiti”.

Dal recupero di Ibla al rischio fallimento
I ristoratori e i baristi sono tra i protagonisti della rinascita di Ragusa e del suo quartiere barocco, Ibla. Quelle viuzze affascinanti, molte delle quali percorse da Luca Zingaretti nelle puntate del suo Montalbano, e il Duomo di San Giorgio sono nella memoria di tanti. La legge speciale su Ibla, varata negli anni ’80 dall’assemblea Regionale Siciliana (con la legge Chessari) ha consentito il recupero di tanti piccoli edifici di quel quartiere signorile e insieme popolare. Recuperare “bassi”, garage, cantine e piccoli solai, realizzare soppalchi con scalette e piccoli corridoi ha regalato spazi carichi di fascino, ma anche difficili da utilizzare in tempi di “distanziamento sociale”. Chi ha investito sul recupero di quel quartiere (negli anni ’70 semi-abbandonato), permettendogli di tornare a vivere, oggi è più penalizzato. E rischia di pagare caro. Con buona pace di Montalbano.
Le soluzioni allo studio del Comune
Per evitare che chi ha contribuito alla rinascita di Ibla sia anche il più danneggiato dalla crisi, il Comune sta studiando possibili soluzioni, spiega il sindaco Cassì, “che consentano a questi ristoratori l’utilizzo di maggiori spazi all’aperto permetteremo, in questo periodo di transizione, di allargare i de hors, ovviamente senza costi aggiuntivi”. L’allargamento passerebbe non solo dall’utilizzo di “spazi attigui, ma anche contigui”. Il piazzale Carmine Putie, nei pressi del tribunale, il Ponte dei Cappuccini, lo spazio tra piazza San Giovanni e la Prefettura potrebbero essere resi disponibili per i ristoratori. In questo modo, continua Cassì, si “eviterebbe il più possibile la riduzione dei coperti e si incoraggerebbero gli avventori, che potrebbero cenare all’aperto, in luoghi bellissimi e in condizione di sicurezza”. Vanno però sempre considerata la sicurezza dei lavoratori: “Studieremo le migliori soluzioni insieme ai ristoratori. Faremo il possibile, senza lasciare nulla d’intentato, per consentire a questo settore di tornare a vivere”.