Si chiama “reddito energetico”. E se vi ricorda quello di cittadinanza, ogni riferimento è puramente voluto: è una proposta, presentata all’Ars dalla M5S Angela Foti, che punta a dare a famiglie “in condizioni di disagio socioeconomico” la possibilità di installare un impianto per le rinnovabili. Paga la Regione. Ma con un sistema che punta a rimettere in circolo l’energia non consumata e – almeno in parte – ripagare la spesa. Progetti simili esistono in Puglia (dove la legge è già stata approvata ma gli impianti non sono ancora allacciati) e a Porto Torres, dove invece è già realtà. Con risultati che possono dare l’idea dell’impatto che il reddito energetico avrebbe in Sicilia: generoso per le tasche dei cittadini; contenuto per l’ambiente.
Come funziona il reddito energetico
Il disegno di legge prevede l’istituzione di un fondo da parte della Regione per acquistare impianti di energia rinnovabile e affidarli alle famiglie che partecipano al bando. Lo stanziamento sarebbe di 5 milioni l’anno per il 2020 e il 2021, per poi valutare (a cadenza biennale) i risultati e decidere il da farsi. Il contributo coprirebbe l’acquisto, l’installazione e la manutenzione di impianti fotovoltaici, solari termo-fotovoltaici o microeolici, fino a un massimo di 6 mila euro. Che salgono a 8500 nel caso un condominio volesse anche sistemi di accumulo. Il disegno di legge rimanda a un regolamento la definizione dei criteri con i quali stilare la graduatoria delle famiglie assegnatarie. Ma indica già i principi: priorità a chi ha un Isee più basso, ai nuclei composti da cinque o più componenti, con più di due minori, con un componente invalido, a giovani coppie e a over 65.
L’energia in circolo
Il vantaggio per le famiglie è chiaro: installano gratis un impianto che produce energia pulita e taglia la bolletta. Si stima – si legge nel disegno di legge – che il risparmio medio sarebbe di 200 euro all’anno. In cambio, le famiglie devono solo consentire l’accesso ai tecnici e tenere l’impianto in piena efficienza per almeno vent’anni (pena la restituzione del contributo). La Regione ammortizzerebbe la spesa grazie all’energia prodotta dai pannelli ma non consumata. L’eccedenza viene reimmessa sul mercato e rivenduta. I proventi non vengono incassati dalle famiglie (come avverrebbe se fossero proprietarie dell’impianto) na – grazie a una convenzione con il Gse – dalla Regione, che così alimenta il fondo e acquista altri impianti. Calcolatrice alla mano, considerando l’obbligo ventennale, il contributo del reddito energetico rientrerebbe del tutto se ogni famiglia producesse un “eccesso” di 300 euro l’anno. Difficile, se non impossibile. Si vuole quindi innescare un circolo virtuoso, sì. Ma la misura non sarà a somma zero per le casse di Palazzo d’Orleans.
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Il caso Porto Torres: risparmi del 20-50 per cento
Con il reddito energetico, la Sicilia si mette in scia alla Puglia, dove un disegno di legge simile è stato già approvato, a luglio. I primi impianti – ha affermato il consigliere del M5S Antonio Trevisi – saranno allacciati nei primi mesi del 2020. A oggi, quindi, non ci sono precedenti su base regionale. I soli indizi disponibili arrivano da Porto Torres, in provincia di Sassari, dove il reddito energetico è già attivo. Il progetto è partito ufficialmente il 27 luglio del 2017 con la sottoscrizione di un accordo con il Gestore dei servizi energetici e lo stanziamento di 500 mila euro, spalmati su due anni. Il comune sardo ha spiegato a FocuSicilia che è stata spesa la metà dei fondi, permettendo, durante il 2018, di installare pannelli fotovoltaici nelle abitazioni di 49 cittadini scelti attraverso un bando pubblico. Lo schema adottato è stato molto simile a quello proposto da Angela Foti: sono stati assegnati punteggi in base a Ise, invalidità, età, numero di figli. La potenza totale degli impianti (che varia da 0,81 kw fino a 9,99 kw) ammonta a 107,5 kw. Nel corso di un anno sviluppano in media una produzione energetica di 150 mila kw/h. Il taglio di emissioni di Co2 è stato di 67 tonnellate e il risparmio in bolletta per le famiglie oscilla tra il 20 e il 50 per cento.
Il possibile impatto sulla Sicilia
Tornando in Sicilia, guardando i limiti del contributo (dai 6 mila agli 8500 euro) e lo stanziamento proposto dal disegno Foti (5 milioni), a spanne ci sarebbe spazio per circa 800 famiglie l’anno (un numero che oscillerebbe in base al numero di condomìni coinvolti e alla taglia degli impianti). Giocando un po’ con i numeri (senza la pretesa di essere esaustivi) e mettendo su scala regionale i risultati di Porto Torres, le emissioni in Sicilia sarebbero ridotte di un migliaio di tonnellate. Cioè qualcosa come lo 0,006 per cento del totale. È già qualcosa. Ma viste le cifre in ballo – più che un provvedimento capace di avere un impatto sensibile sull’inquinamento – l’intervento sembra essere soprattutto un segnale. Ed è lo stesso disegno di legge Foti a confermarlo: si punta prima di tutto a sostenere le famiglie in difficoltà (un obiettivo, suggerisce il caso sardo, raggiungibile) e a “diffondere la cultura delle energie rinnovabili”.