La birra artigianale conquista spazio anche nel panorama imprenditoriale siciliano. Pur non affondando le radici su una solida e lunga tradizione, come il Belgio, la Germania o l’Inghilterra, anche l’Isola inizia a fare i primi passi. A produrla oggi in Sicilia sono una quarantina di birrifici dislocati in tutto il territorio: “Ci sono – spiega Unionbirrai – realtà molto piccole e altre con buona portata, è difficile quantificarne la produzione. possiamo stimarla – rivela a FocuSicilia l’associazione dei piccoli birrifici indipendenti – intorno a 25 mila ettolitri l’anno”. Una piccola porzione di quella nazionale, che nel 2018 è arrivata a 16,41 milioni di ettolitri. Una piccola squadra di produttori che si misura ogni giorno con imposte salate e una cultura della birra ancora acerba.
Se coltivare siciliano non conviene
Quello birrario è un comparto particolare, ancor più in Sicilia: “Il progetto – spiega Fausto Lentini (nella foto con i figli), birraio nisseno che ha messo in piedi un paio di anni il birrificio Realmalto – nasce in un territorio difficile, dove ancora la cultura della birra non è radicata. Ma a ben pensare un birrificio non ha confini. La buona riuscita di un progetto dipende anche dall’abilità che la persona sviluppa nel marketing e nella commercializzazione”. Realmalto è un una piccola impresa a conduzione familiare. È giovane, ma la loro birra di punta, la Bruggia, è stata premiata da Unionbirrai come la migliore del 2019. Giovane, Realmalto, lo è anche a livello di produzione. Conta di arrivare a 18-20 mila litri quest’anno. “La nostra produzione – spiega Lentini – è in continua evoluzione e al momento è destinata quasi interamente al nostro pub. Abbiamo iniziato da subito con cinque stili di birra: una belga, un’americana, una amber, una inglese e una tedesca hefeweizen”. Di certo non aiutano i problemi logistici: “A conti fatti – racconta il birraio – produrre in loco le materie prime costa più che importarle, perché dovremmo poi inviarle in una malteria fuori dai confini regionali. In Sicilia infatti non abbiamo strutture per la lavorazione. La più vicina è a Potenza. Quindi, per una questione di praticità, importiamo i prodotti”.
Belghe con accento siculo
Se la produzione di Realmalto è varia, si concentra quasi esclusivamente su un unico stile quella del birrificio ragusano Yblon, che vanta il titolo di miglior birrificio in Sicilia nel 2018: “Ogni birra che esce dalle mani del birraio Marco Gianino – spiega il responsabile marketing di Yblon, Fabio Bruno – richiama un nome legato alla tradizione siciliana ma rivisitato in lingua italiana. La Culovra, ad esempio, è una leggendaria biscia che si nascondeva tra i terreni per cogliere di sorpresa e uccidere il bestiame”. Se i nomi delle birre richiamano elementi del territorio, lo stile è belga. “Facciamo le nostre birre – prosegue Bruno – con ingredienti siciliani ma senza che le deturpino: il nostro cavallo di battaglia, la Timpa, ad esempio, è fatta con una piccolissima percentuale di grano russello. Non perché sia coltivato nella nostra zona ma perché questo grano dà una parte proteica in più che fa risultare maggiormente le note positive dello stile belga, dando una secchezza e una rusticità maggiore”. Quella di Yblon è una realtà in espansione: nel 2017 ha prodotto 250 ettolitri e nel 2018 è arrivata a 290. Punta a chiudere il 2019 a 380 ettolitri e il prossimo anno a 500. La crescita è dovuta anche al fatto che a marzo del 2018 ha aperto una tap room (stanza delle spine) nel centro storico di Ragusa. “Ci ha consentito – afferma Bruno – di produrre di più perché dovevamo soddisfare l’esigenza del locale”.
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“Le accise ci ammazzano”
C’è un altro motivo che rende il comparto anomalo: la birra è l’unica bevanda da pasto sulla quale pende il fardello dell’accisa, un’imposta che si calcola sul valore della produzione. Anche i distillati sono soggetti ad accisa, ma il vino no. Va poi aggiunta, come per ogni altro prodotto, l’Iva che si applica invece al valore del bene (o del servizio), cioè sul prezzo di vendita, ritoccato proprio per assorbire il peso dell’accisa. “Le accise ci ammazzano – conferma Fabio Bruno -: in Italia ci costa più della materia prima. È stata ridotta, è un primo passo ma il costo resta ancora tanto”. La legge di Bilancio 2019 ha infatti varato, dal primo gennaio, una riduzione dell’accisa sulla birra: l’aliquota è passato da 3,02 a 2,99 euro per ettolitro e per grado-Plato (l’unità di misura del grado saccarometrico, ovvero della quantità di zuccheri fermentabili diluiti nel mosto). Un ritocco valso per tutti i birrifici. Il primo luglio è poi entrato in vigore un decreto che favorisce le piccole realtà artigianali: una sforbiciata del 40 per cento per le fabbriche di birra con produzione annua inferiore ai 10 mila ettolitri. Tradotto in euro: chi produceva 100 ettolitri di birra chiara con una gradazione alcolica bassa (4,8 per cento, pari a 12 gradi Plato) pagava fino al 30 giugno 35,88 euro. Dal primo luglio 2019 ne paga 21,5.
L’8 per cento destinato all’export
Le birre siciliane faticano a varcare i confini regionali: attualmente – secondo i dati forniti da Unionbirrai a FocuSicilia – l’esportazione è limitata a un piccolo numero di produttori e non supera l’8 per cento della produzione. Dato confermato anche da Bruno: “La produzione è aumentata soprattutto per la rete commerciale che abbiamo sviluppato in Sicilia: in sostanza il 90 per cento resta nella regione e il resto viene esportato. Puntiamo a una distribuzione di qualità, specie nei pub di settore. E siamo arrivati fino in Belgio. Al momento non abbiamo in progetto di esportare all’estero perché il nostro è un birrificio giovanissimo. Un passo alla volta. Ma nei nostri obiettivi c’è arrivare nei Paesi dove si produce e si consuma molta birra, perché penso che i prodotti italiani all’estero possano essere molto apprezzati”.
Non solo pizza e birra
Al di là delle difficoltà legate agli aspetti logistici, in Sicilia c’è un altro limite: “Non si ha ancora una cultura sul prodotto: “Ci troviamo in un territorio dove manca la cultura della birra”, sostiene Lentini. “La produzione sta prendendo piede adesso. La birra è una bevanda d’accompagnamento per tutte le pietanze, ma ancora oggi, specie dalle nostre parti, viene vista come una bevanda che deve accompagnare la pizza o che si deve bere al pub d’estate. Di conseguenza, si fatica a capire che oggi le birre artigianali, come il vino, hanno dei retrogusti e degli aromi particolari che si abbinano a diverse pietanze”. La scarsa conoscenza del prodotto alimenta l’attitudine a non distinguere le birre commerciali da quelle artigianali. Eppure le differenze tra le due categorie ci sono, anche a livello economico: “La maggior parte della gente preferisce acquistare le birre che comunemente si trovano al supermercato o al bar perché, essendo a bassa fermentazione e contenendo piccole quantità di malto d’orzo, hanno un prezzo più basso rispetto alle birre artigianali”.
Conoscenza in fermento
Se si vuole far decollare il settore, si deve partire dalle basi: “Bisogna conoscere il prodotto – chiarisce Unionbirrai – per far decollare una distribuzione che non faccia passi falsi (tipo proponendo birre che non sono in realtà artigianali, le cosiddette crafty) e che in generale non dia informazioni errate sui prodotti”. Proprio in Sicilia c’è un caso virtuoso di un distributore che ha deciso di intraprendere il percorso per diventare Unionbirrai Beer Tasters e organizzare corsi con i clienti per far conoscere meglio cultura e gusti della birra. “Più in generale – spiega Unionbirrai – attualmente ci sono due mercati della birra di qualità. Uno che viene dal vecchio mondo, ovvero da coloro che hanno iniziato con i grandi distributori e con i marchi legati alle multinazionali e si sono poi convertiti al mondo artigianale comprendendone il valore aggiunto, la diversità e la qualità. E poi c’è un mondo che viene dagli appassionati (a volte anche un po’ estremi), che cercano non solo il prodotto di qualità ma vogliono anche che si distribuiscano cultura e conoscenza”.